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Attualità

OPINIONI E “GUERRA”

FELICE MAGNANI - 18/05/2018

insultiChi fa politica non parte per la guerra, chi ha di fronte è un avversario e non un nemico. Sembrava che dopo una storia terribile, la natura umana avesse recuperato le proprie sembianze, quelle che la fanno apparire volenterosa e attenta, desiderosa di nuove collaborazioni e di sinergiche interazioni, capaci di restituire dignità e identità, in realtà ripropone antipatie e cattiverie, angherie e insulti, pregiudizi, odi e rancori che la fanno ripiombare in un impensabile oscurantismo. Il cittadino che segue i fatti, i racconti e le interviste in tv, giusto per tenersi al corrente di cosa stia succedendo, è sempre più confuso, sorpreso, spaesato e arrabbiato, perché si rende conto che chi ha il compito di costruire continua ininterrottamente a demolire e che, soprattutto, ha perso il democratico e costituzionale rispetto di quel costume alla costruzione del quale hanno contribuito tutte le forze politiche di un’epoca estremamente complicata, ma propositiva.

Oggi c’è la stranissima tendenza a tentare di distruggere ancor prima che chi stia di fronte abbia la possibilità di dimostrare quello che ha promesso. I toni e gli atteggiamenti sono aspri, dimostrano a chiare lettere che c’è un’assoluta mancanza di rispetto, assistiamo a linguaggi assurdi, alla negazione di qualsiasi forma di pudore, alla messa in campo di strategie della tensione che impediscono al cittadino normale di vedere chiaro su quello che la politica sta facendo.

Forse qualcuno si è dimenticato di essere stato eletto, di essere il rappresentante di un popolo che si può accusare di tutto, ma non di non essere paziente, laborioso e molto attento a ciò che succede. Ma la cosa che colpisce è che si è persa per strada l’autocritica, la capacità di riflettere sui propri errori, ci si dimentica che è un dovere capire l’origine di un fallimento e rimettere in moto il meccanismo di una ricostruzione pensata, sviscerata, chiarita in ogni sua parte, prima di essere gettata sulla pelle dei cittadini.

Di solito chi tenta di screditare è chi non risolve i propri guai, chi combatte sul campo avversario senza aver la certezza di aver riordinato le fila nel proprio, di aver ricreato un clima di credibilità, di affidabilità umana, morale e politica. La dialettica è prassi in un confronto leale, si sa che le opinioni variano a seconda di chi le professa, che la democrazia presuppone un confronto anche convinto, animato, ma sempre orientato a una visione positiva delle cose da fare, da migliorare, da conservare o da cambiare. Assistiamo spesso a manifestazioni di intolleranza verbale, di gestualità al limite, di espressioni che mettono in crisi i livelli di maturità che credevamo raggiunti.

Dallo schermo televisivo traspaiono sguardi di sfida, vecchi retaggi e demagogie che pensavamo sotterrate e che invece riesplodono ogniqualvolta qualcuno ha il coraggio di dire le cose come stanno.

La sovranità popolare non gode del giusto rispetto, c’è addirittura chi sottovaluta il voto, chi lo mette in discussione, come se gl’italiani non fossero in grado di intendere e di volere.

La politica ha un estremo bisogno di riconciliarsi con se stessa, con una identità che si è andata consumando in personalismi e in egocentrismi portati alle estreme conseguenze, ha bisogno di fermarsi a riflettere, a rimettere insieme parti di una cultura che sopravvive solo nella buona volontà di pochi. E poi che cosa significa seminare parole che non hanno nulla di comprensibile, gettate un po’ di qua e un po’ di là per confondere ciò che è già di per sé sufficientemente confuso. Populismi, sovranismi, dibattiti economico finanziari che hanno tutta l’aria di una fumettistica demolitoria, messa in campo per disorientare chi lo è già fin troppo, pregiudizi esacerbati, odi viscerali, gente che pretende di sapere già in anticipo cosa succederà, dimenticandosi di quanta pazienza abbia avuto la nostra gente in passato, per digerire tutte le iniquità perpetrate e regalate al pubblico sotto forma di oro colato.

Forse sarebbe il caso che la politica ricominciasse dall’inizio con il porsi domande del tipo: “Sto facendo realmente l’interesse del cittadino?” “Sono sicuro di essere all’altezza della situazione?” “So esattamente quali siano i passi che devo fare per rappresentare in modo dignitoso e onorevole la gente che mi ha votato?” “Ho un comportamento pubblico adeguato?” “Ho il senso della misura?” “Se opero in questo modo faccio il mio dovere?”

C’era una volta l’autocritica, la capacità di fermarsi per capire, di fare un esame di coscienza e soprattutto c’era una volta la politica intesa come servizio dovuto ai bisogni e alle necessità popolari.

Chi guarda la televisione e legge i giornali oggi fatica moltissimo a capire dove stia andando il paese, verso quali traguardi e si preoccupa moltissimo, soprattutto quando si rende conto che l’educazione è stata bandita, per lasciare il posto a varie forme di banditismo linguistico e gestuale, per non parlare del sistema corruttivo che popola ogni giorno le pagine dei media.

A che cosa servono le Commissioni di controllo? A che serve insegnare l’educazione a scuola, affrontare i temi scottanti del bullismo, cercare di ricreare uno spirito famigliare adeguato, se poi un giovane accende la tv e s’imbatte in tizio e caio che mandano affan c… il prossimo senza ritegno alcuno, annullando la giustizia, la legalità, il buon senso, il rispetto reciproco e tutte quelle belle regole che la scuola insegna quotidianamente per tappare i buchi di una società menefreghista?

A che cosa serve parlare di sicurezza se poi abbiamo bisogno di trasmissioni televisive per affrontarla? A che cosa serve richiamare i giovani all’educazione se poi gli adulti sono i primi a negarla?

Forse nella nostra democrazia c’è qualcosa che non funziona, qualcosa che sfugge a chi dovrebbe essere attento, a chi dovrebbe tutelare, proteggere e promuovere il bene comune, quel bene che è la fonte del benessere sociale. Forse si sono confusi i diritti con i doveri, si pensa che sia tutto dovuto e che la libertà non abbia confini o limiti o perimetri o spazi in cui definire il proprio raggio d’azione.

La verità è che la decadenza è visibile a tutti, è sulla bocca di tutti, tutti ne parlano con tristezza e rammarico, ma nessuno vede vie d’uscita, ci si limita a essere bombardati da una comunicazione che assomiglia sempre di più ai fuochi d’artificio che scoppiano nelle notti d’estate per acclamare l’euforia vacanziera.

Eppure la democrazia, proprio perché grande e bella e straordinariamente umana ha bisogno di chi la sostenga, di chi ogni tanto alzi il tono per ricordare a chi soffre di sordità precoce che non c’è nulla di scontato, nulla di inamovibile e nulla che passi inosservato, tutto dovrebbe ruotare nella logica della legge, della regola, del buon senso, dell’educazione. Nei momenti difficili una sana democrazia deve sapere guardarsi attorno per capire dove stia esattamente il bisogno, dove stiano di casa le necessità, che cosa sia più giusto fare per far quadrare i conti, quali siano le misure più adatte per ricreare ciò che viene dilapidato.

Non abbiamo bisogno di spettacoli circensi consumati nelle sale televisive, dove la costruzione diventa distruzione e dove tutto viene messo in discussione in nome di non si sa quale lungimiranza democratica. Quando gli scontri diventano guerre a oltranza e quando vedi che lo sguardo dell’interlocutore diventa diabolicamente eversivo ti rendi conto che non ci sono più limiti e che tutto potrebbe diventare possibile.

È sui tempi educativi ad ampio spettro che il paese deve valutare la propria identità, è sull’onestà del giudizio che si ricompone una società spaesata, è nella ricerca del bene comune che si riconfigura un modo di essere e un modo di fare, evitando il ridicolo, quel ridicolo che di questi tempi frequenta con assiduità i nostri schermi familiari.

Diamo tempo al tempo, rispettiamo la volontà popolare, evitiamo di mettere trappole inutili e facciamo in modo che il nostro impegno migliori il quadro generale e soprattutto sia di utilità sociale, morale e politica a chi ha il delicatissimo compito di provvedere alla riabilitazione di un’identità nazionale messa a dura prova da chi persegue l’interesse privato, a danno del bene comune

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