La scuola italiana sotto assedio a causa del bullismo, questo appare leggendo la cronaca quotidiana che in quest’ultimo scorcio d’anno scolastico si anima di un numero esagerato di casi legati al fenomeno.
Leggiamo: in una città i genitori di un alunno sovrappeso hanno malmenato, colpendolo a testate, il professore di educazione fisica; in un’altra città i genitori di un alunno hanno picchiato il dirigente scolastico. Su YouTube si diffondono video in cui i docenti vengono ripresi e ridicolizzati. Il ministro ha ribadito con una circolare il divieto di portarsi telefonini in classe.
Ma il ministro del primo divieto non è l’attuale, Valeria Fedeli, bensì Giuseppe Fioroni. Correva l’anno 2007. Da allora ne sono trascorsi altri 11.
Instagram non esisteva, Facebook era praticamente sconosciuto in Italia, YouTube funzionava da soli due anni ma un certo allarmismo sulla deriva scolastica si era già messo in moto.
Se i giornalisti diffondono le notizie, belle o brutte (soprattutto brutte), se il mondo in genere, e ancor più quello della scuola oggi, non pare un bel posto dove soggiornare, la colpa non è dei giornalisti che per lavoro devono cercare e diffondere le notizie.
Però l’emergenza è tutt’altra cosa. Che si può creare anche artificialmente andando a caccia “solo” di un certo genere di notizie. È scontato che se, quando troviamo scritto in prima pagina che siamo alla media di un professore picchiato ogni quattro giorni, o che si contano ventisei episodi diventati pubblici in centonove giorni, ci allarmiamo, lo facciamo a ragione.
La colpa non è neppure dei media e dei social. Troppo comodo, troppo facile, soprattutto inutile.
Utile invece sarebbe chiedersi quanto l’amplificazione di questi casi, che sono sempre troppi, che sono inaccettabili e inqualificabili, e spesso ai limiti del reato, serva alla causa della scuola.
È dell’effetto “bulldog” che voglio parlare.
Si parte da una notizia che può attirare l’attenzione del lettore – in un parco un bulldog morde un bambino – e ci si rende conto che in poco tempo la cronaca troverà altri casi del genere e li metterà in bella evidenza.
Giusto, sempre che non si tratti di fake news.
Così vedremo un fiorire di storie di altrettanti bulldog, tutti mordaci, sparsi nella penisola, che hanno aggredito bambini, con o senza tragici risultati.
Ecco come potrebbe nascere l’emergenza bulldog. Se questo effetto funziona, facciamolo funzionare anche per una buona notizia. Facciamo circolare sui media e sui social un fatto che aiuti a posizionare la scuola “normale” nella scia fino ad oggi occupata dalle azioni eclatanti dei bulli, replicate dalla rete fino allo sfinimento.
Un gruppo di studenti salva la vita alla professoressa di italiano. La notizia, che appare sul quotidiano Metropolis, riguarda un istituto tecnico di Torre Annunziata. Un’insegnante che vive sola si sente male in casa, cade a terra e lì rimane, impossibilitata a rialzarsi per chiedere aiuto.
La scuola è senza sue notizie ma sono i suoi studenti i primi a preoccuparsi sul serio. Infatti, passate 48 ore, vanno a cercarla a casa: dalla scuola, che si trova a Torre Annunziata, a Vico Equense.
Con l’aiuto di alcuni vicini entrano nell’appartamento: trovano la donna che giace a terra in pessime condizioni. Portata in ospedale, viene salvata.
Se la sua assenza senza preavviso aveva messo in allarme i ragazzi, questo significa che tra loro e la professoressa esiste un legame forte, quella relazione educativa capace di creare una reale comunicazione. Nella classe, ce lo dice questa storia, è entrato in azione quel “quid” indispensabile per un efficace processo di insegnamento: ed ecco realizzarsi un atteggiamento di cura reciproca.
Qui è d’obbligo citare il motto della scuola di don Milani: “I care”. Cioè, io mi occupo, io mi preoccupo, io mi interesso a te: perché TU mi stai a cuore.
Non solo italiano, dunque, ma qualcosa ben di più dei voti e delle interrogazioni. Interessante anche ciò che emerge dai racconti degli studenti, divenuti famosi per un giorno: affermano che le lezioni della prof Russo sono “dei racconti nei quali ogni giorno viene presentato un personaggio diverso, ed è come averlo presente in aula”.
Brava la professoressa che non mancava mai da scuola, nemmeno un giorno, neppure quest’inverno di neve, evento raro nel napoletano: un bel modello di docente. Bravi anche i ragazzi, che forniscono un esempio di come si può essere “normali” in una scuola “normale”, dove le azioni giuste si compiono con naturalezza.
Sarebbe bello se i giornalisti si impegnassero ad andare a caccia anche di qualche esempio di scuola “buona”, da far rimbalzare, grazie all’effetto bulldog, sui giornali, su Facebook, su Instagram, su YouTube …
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