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Opinioni

CAPOLAVORO GIUDIZIARIO

ALFIO FRANCO VINCI - 18/05/2018

Calogero Antonello Montante

Calogero Antonello Montante

Calogero Antonello Montante, classe 1963, di Serradifalco, presidente della Camera di commercio di Caltanissetta, presidente di Unioncamere Sicilia, presidente della associazione costruttori cicli e motocicli, presidente di Reteimpresa, la potente struttura economica di Confindustria nazionale, componente il Consiglio generale, e già delegato nazionale alla legalità della stessa Confindustria nazionale, è agli arresti domiciliari accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione con figure di spicco delle istituzioni.

Un commento su tutti lascia ben più che pensierosi: “Un capolavoro, quello che è successo in Sicilia, l’arresto di un uomo per associazione a delinquere con la polizia”.
Quando si dice che la Sicilia è, e resta la terra di Pirandello, non è un modo di dire, ma è la quintessenza del modo di essere di certi siciliani.
Nulla deve mai in realtà essere come appare, e tutto deve apparentemente cambiare perché nulla cambi.

Due pensieri, di Camilleri e di Tomasi di Lampedusa, per spiegare i quali ci vorrebbe un’intera enciclopedia.
È un modo di ragionare difficile da comprendere e impossibile da condividere, eppure, stando a quanto scritto dai magistrati nisseni, questo “capolavoro” a Montante è riuscito perfettamente, partendo da lontano, da molto lontano, nel tempo, e sicuramente da prima che iniziasse la scalata ai vertici confindustriali. Probabilmente anche con l’influenza ambientale di un territorio che nei secoli ha assorbito varie culture, da quella greca a quella spagnola, ed è riuscito a costruire intorno a sé un’aura di apoteosi sfacciatamente esibita con esagerati spagnolismi.
Non c’è però di che stupirsi; la Sicilia è la terra di Pirandello e la distanza fra Serradifalco e Agrigento, rispettivamente terra di Montante e di Pirandello e Camilleri, passando per Racalmuto, terra di Leonardo Sciascia, è di soli 53 chilometri; con la superstrada solo 15 minuti.
Con tali premesse tutto, o quasi, diventa possibile, ma, stando alle accuse avanzate dalla procura della Repubblica e contenute nelle 2557 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip, Maria Carmela Giannazzo, costituire una associazione per delinquere fra un indagato per mafia, un colonnello dei carabinieri e dei servizi segreti, uno della guardia di finanza, e quattro o cinque, fra sostituti commissari, sovrintendenti ed ispettori della polizia di stato, francamente scuote dalle fondamenta i pilastri su cui si fonda il nostro sistema.
Questo significa, se le accuse verranno provate, che non è più possibile riconoscere chi è la guardia e chi il ladro; anche perché una volta le guardie avevano i pennacchi ben in vista (come canta De Andrè) ed era facile individuarle. Oggi, se le accuse diventeranno prove, tutto è più complicato.
Eppure qualche segnale avrebbe dovuto insospettire: troppo potere ostentato; troppe scorte;
troppe sgommate; troppe presenze ministeriali in province sperdute della Sicilia; troppi protocolli di legalità a ciclostile, cui lo stesso Ministero dell’Interno ha dovuto mettere un freno; troppi summit in alberghi romani; troppo potere confindustriale con delega totale alla gestione della “legalità”, di interi territori e dei meccanismi di controllo e garanzia interni a quella organizzazione.
Tale spagnolesca esibizione di potere, aggiunta, stando alle accuse mosse, a verosimili dazioni economiche, promesse di carriera, coperture ai più alti livelli e benefit ingiustificabili, avrebbero sedotto uomini chiave degli apparati di sicurezza e di polizia giudiziaria e, a tali richiami, per dirla col Manzoni, sempre secondo l’accusa, “gli sventurati risposero”.
Ma se tutto ciò fosse stato finalizzato solo a proteggersi dalle azioni della magistratura, si potrebbe parlare di istinto di sopravvivenza spinto oltre ogni limite, ma qui, secondo quanto riportato dai più autorevoli organi di stampa, che avranno avuto accesso all’ordinanza, si parla di ricerca di documenti, quali quelli relativi alla trattativa Stato mafia, con i testi delle audizioni di Napolitano e Mancino, che sicuramente non lo riguardavano e non potevano nuocergli, se non altro perché all’epoca dei fatti aveva ancora i pantaloni corti.
Quindi, perché? Perché la stanza segreta? Perché centinaia di dossier, sequestrati e restituiti?
Perché l’incursione notturna ad opera di ignoti negli uffici della Procura nissena? Cui prodest? Si sarebbero chiesti i Latini.
Gli interrogatori verificheranno puntualmente la corrispondenza fra accuse e verità.

Intanto in Sicilia è bagarre; vi è una richiesta corale da Movimento 5 stelle a Cento passi di revoca di tutti gli incarichi pubblici tuttora ricoperti, cui si aggiungono dure prese di posizione di LEU e Cgil. A72 anni dallo Statuto della Regione, non sono bei giorni per la Sicilia, ma sono buoni giorni per i siciliani onesti. Mi sa che oltre alle 2.500 pagine della prima ordinanza, molte altre ne verranno scritte.

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