Ci sono dei libri che dovrebbero entrare nello scaffale di chi non si interessa soltanto delle vicende dell’orticello sotto casa, per dire delle cose ultime e recenti, ma vuole un po’ spaziare al di fuori. È il caso dell’Atlante delle crisi mondiali, edito da Rizzoli e nelle librerie da un paio di mesi, scritto da Sergio Romano.
Romano è di quegli autori che, da più di mezzo secolo ormai, brillano per nel panorama della cultura, della storia, del giornalismo. Ex diplomatico – fu ambasciatore alla Nato e a Mosca, direttore delle relazioni culturali della Farnesina –, giovane giornalista e critico cinematografico, scrittore di storia tra i più prolifici – in particolare la storia dell’Italia unita e biografo di personaggi-chiave quali Giovanni Giolitti, Francesco Crispi, Giuseppe Volpi, Giovanni Gentile –, studioso e divulgatore di temi e problemi riguardo la politica estera italiana e le relazioni internazionali mondiali. È stato editorialista della Stampa di Torino e, per diversi anni, fino a qualche tempo fa, apprezzatissimo collaboratore del Corriere della Sera, avendo raccolto l’eredità lasciata da Indro Montanelli con la cura della pagina delle lettere al giornale.
Sergio Romano, che tra un paio di mesi compirà 89 anni, è ancora ben presente sulla scena dei reportage e di brillanti servizi giornalistici. Proprio in questi giorni è comparso sul Corriere un suo ampio servizio sull’attuale situazione nell’Ulster e sui rapporti con l’Eire, dopo la discussa approvazione della Brexit, avvenuta l’altr’anno.
Ma torniamo all’Atlante delle crisi mondiali. Se la cosa non apparisse riduttiva, si potrebbe affermare che il libro è una sorta di Bignami di alcuni ultimi saggi dello stesso Romano: in particolare i libri In lode della guerra fredda, che è del 2015, Con gli occhi dell’Islam (2007), riguardo le crisi del Vicino e Medio Oriente, quindi i due saggi e quasi biografie dei due “grandi” del momento: Vladimir Putin (2016) e Donald Trump (2017)…
Alla “guerra fredda”, conclusasi nei fatti con la caduta del Muro di Berlino e con l’implosione dei regimi comunisti e dell’Unione sovietica stessa, e con una presunta vittoria delle forze occidentali (gli Usa), è dedicata la prima parte del libro, ma è un argomento che a ben vedere poi pervade l’intero saggio. La considerazione principale – che ormai non è del solo Romano, perché le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti – è che quel conflitto apparente salvò il mondo dalla guerra guerreggiata in seguito alla presenza e alla convinzione comune che l’uso dell’armamento nucleare sarebbe stato devastante per tutti.
Il braccio di ferro continuo e ”visibile”, dunque, che pure ebbe le sue vittime, rappresentò quasi una garanzia di pace. Più o meno accettata. Oggi la situazione è molto più fluida. E i pericoli di uno sconfinamento dissennato, di una violenza incontrollata e incontrollabile sono alti. Le situazioni – che Sergio Romano analizza e presenta con compiutezza e competenza – sono diverse: il Medio Oriente, Israele, la Siria, i terrorismi, le “tigri asiatiche”… Polveriere pronte a essere innescate, e qualcuna lo è già. Poi vi è l’America – anzi le Americhe – e lo stato di degenza dell’Europa sotto lo scacco, più o meno controllato, dei “populismi nazionalismi”, e le grandi migrazioni…
Si fanno, nel corso della “narrazione” anche delle “rivisitazioni” del passato, molto interessanti, che qualcosa potrebbero dire al presente. La crisi dei missili sovietici a Cuba dell’ottobre 1962, per esempio, e i famosi tredici giorni entro i quali Kennedy costrinse l’Unione Sovietica e Kruscev a ritirare i missili installati a qualche centinaio di miglia dalla Florida. Uno dei momenti nei quali davvero la “vera guerra” fu a portata di mano.
Si parlò infine di una vittoria degli Usa. In realtà, quanto meno, si trattò di un pareggio, perché pochi mesi dopo gli Usa smantellarono alcune loro basi missilistiche che tenevano in Italia e in Turchia.
E invece, oggi, nella lettura della storia, Kruscev appare più realista, concreto e “pacifista” del presidente americano. Anche se in realtà l’unico vincitore di quella crisi fu Castro che ottenne dagli Usa la garanzia che mai avrebbero tentato un’invasione della sua isola “riconquistata”. Una figura che Romano, a dimostrazione di come la storia e le crisi mutino anche il destino degli uomini, in un certo senso rivaluta e assolve: “Fidel sarà sempre per l’isola un libertador”.
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