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Non è un tabù che ci siano fiori che arricchiscono e impreziosiscono le nostre tavole, ma non solo in modo ornamentale come si potrebbe comunemente pensare.
Non ce ne rendiamo conto, ma in realtà ci sono molti fiori che già mangiamo da tempo. I capperi per esempio che sono i piccoli boccioli chiusi di un bel fiore bianco con gli stami viola, un fiore mediterraneo di una pianta sarmentosa che popola dirupi e muretti. E facile andare per capperi nelle località di mare, se siete esperti. Basta individuarli con le loro foglie grasse, carnose a forma di medaglia lungo i muretti e asportarne i boccioli, mettendoli sotto aceto o sotto sale.
Anche il carciofo che consumiamo come bocciolo spinoso (ne tagliamo le spine, ma sappiamo che ha un “cuore tenero”), in realtà sarebbe un fiore dalla bella corolla spumosa azzurro-violacea simile al fiore del cardo (che è più piccolo). Ma siamo abituati a considerarlo una verdura.
I fiori sono preziosi ingredienti per ricette dai mille sapori, delizie per il palato: sformati, pane, frittate, ripieni, paste e risotti, tisane, bibite… Ed ora più che mai li troviamo anche in fresche insalate. Perfino i supermercati si sono adeguati a questa che più che una moda gastronomica, è un antico sapere che risale ai tempi delle nonne, riciclato come “novità”. Non è una novità infatti che la viola mammola sia commestibile e spesso viene candita nella pasticceria, mescolata alla liquirizia nelle leccornie o nelle pastiglie alla violetta. Così come la primula così delicata col suo giallo tenero, buona nelle frittelle, oltre che in insalata. Sono fiori commestibili i bei fiorellini blu di Cina delle borraggini, da mescolare nelle insalate. Come pure si possono spargere nelle mesticanze, i fiori e le foglie dei nasturzi.
Tra i fiori commestibili troviamo pure la calendula. Alzi la mano poi, chi non ha mai gustato in vita sua le frittelle coi fiori di zucca o di zucchine in versione sia salata che dolce. Ora che siamo in maggio (sebbene piovoso) è facile vedere i fiori delle robinie e sentirne la fragranza intensa. In provincia di Varese la robinia è stata un po’ la disperazione dei paesaggisti cultori dell’adagio “Piante e buoi dei paesi tuoi”. Proveniente dall’America, è venuta a colonizzare i nostri terreni incolti, infestando e sfuggendo di mano agli arboricoltori. La si nota proprio ora, in questa stagione, lungo le strade di campagna, brughiere e boscaglie, perché è nel pieno della fioritura: dai rami pendono grappoli di fiori bianchi che somigliano molto a quelli del glicine e spandono nell’aria un profumo delicato ma intenso, quasi di miele.
Intanto però questa fioritura così straripante si presta a un uso insolito: con i fiori di robinia (che in dialetto chiamano “pacialacci”) si preparano delle deliziose frittelle… La pastella si fa con questi ingredienti: 2 pugni abbondanti di fiori bianchi di robinia (pacialacci), 100 grammi di farina, 1 uovo, 70 grammi di zucchero, 50 gr. di latte, 2 cucchiai di grappa, un pizzico di sale, olio per friggere. Certuni aggiungono del lievito, altri no e la loro versione può essere tanto dolce che salata (cioè, senza i 70 grammi di zucchero).
Personalmente, essendo già un fiore dolce, ne prediligo la versione salata. In ogni caso, è bello onorare la primavera anche con le più insolite ricette…floreali e mangerecce. Quasi un rito propiziatorio da rinnovare stagionalmente.
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