Assolutamente condivisibile la strategia del Capo dello Stato di dare all’Italia un governo che possa durare fino a dicembre per poi tornare alle urne in primavera. Il suo buon esito renderebbe possibile approvare il bilancio dello Stato, evitare l’esercizio provvisorio e l’aumento dell’Iva, contribuire a risolvere le questioni dirimenti che attendono l’Europa. Vedremo in questi giorni come sarà composta la squadra di Palazzo Chigi che, in ogni caso, ci guiderà almeno nella fase elettorale.
Se i partiti dovessero nel frattempo trovare un accordo politico si aprirebbero subito le porte ad un nuovo Esecutivo. Sbocco augurabile per molti versi ma non è con lo stratagemma di chiamare “contratto” l’accordo politico che si raggiungerà questo obiettivo. Inutile, in questo momento, “l’indovinello” su quali forme e con quali ministri si uscirà da questo pericoloso stallo ma non è inutile riflettere sulle ragioni per le quali ci siamo arrivati per non ricadere presto nelle stesse trappole.
La campagna elettorale è stata una forsennata baraonda di incredibile vacuità programmatica tanto demagogiche erano molte promesse. Penso si possa oggettivamente riconoscere che solo il centrosinistra, pur un programma prolisso difficile da comunicare, sia stato sufficientemente serio. Gli elettori hanno però premiato i partiti più estremi nella critica ai governi e questo dovrebbe insegnare al Pd di farsi carico con più forza e anche emotivamente dello stato di sofferenza sociale largamente percepito.
I partiti si sono comportati come se avessimo un sistema maggioritario con la probabilità di un solo e reale vincitore quando è proporzionale per due terzi e dunque le intese di governo sono indispensabili. Il massimo di questa contraddizione l’abbiamo vista nella presentazione della lista dei ministri del governo Di Maio. Una vera cialtroneria che però ha ammaliato gli elettori.
Una serie di veti e contro veti personali hanno reso impraticabile il governo politico. Le incompatibilità radicali e insuperabili dovrebbero invece essere soltanto quelle di visione generale e di programma: quale idea di democrazia, quale Europa, in che modo diminuire le disuguaglianze sociali e contrastare l’impoverimento e le paure del ceto medio.
Difficile trovare un’intesa tra forze che mettono in campo promesse mirabolanti sommando le quali si condurrebbe il Paese al disastro. Il rischio è forte. Fissare le tasse al 20% per tutti, eliminare la legge Fornero, attuare il reddito di cittadinanza: tutte insieme queste proposte sarebbero una pretesa inattuabile. Come è irrealizzabile, d’altra parte, espellere in poco tempo 600.000 immigrati senza regolare permesso.
Immaginare che i tre poli politici siano dovuti alla legge elettorale è puerile, ma tracciare qualche rimedio è doveroso. Ma quali rimedi e chi li approverebbe? Il proporzionale puro porterebbe acqua nel mulino del frazionismo. Il ballottaggio fra le forze più votate si scontra con l’arcaica esistenza di due Camere aventi entrambe il potere della fiducia al governo. Il doppio turno di collegio potrebbe essere una soluzione ma non ha mai trovato accoglienza se non nel centrosinistra e non darebbe, comunque, le garanzie di stabilità del semi-presidenzialismo francese che richiederebbe una profonda riforma costituzionale.
Se ci sarà una prossima campagna elettorale in tempi brevi e se la legge elettorale non diventerà radicalmente maggioritaria tutti i partiti dovrebbero attrezzarsi per progetti che non siano troppo discordanti se immaginano di poter governare insieme. Questo sforzo riguarderà anche il Pd.
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