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Editoriale

PASTROCCHIO

MASSIMO LODI - 11/05/2018

salvinidimaioAlla fine Berlusconi ha ceduto. Starà a vedere cosa sapranno combinare Salvini e Di Maio. Il Cav non preannuncia un’astensione benevola, come suggeritogli dall’ineffabile forzista-leghista Toti, ma una sfiducia condizionabile. Cioè: se qualche provvedimento mi garba, lo voto, altrimenti votatevelo da soli. È un Berlusconi al veleno, quello che dà il via libera al possibile governo Carroccio-M5S. Votare a luglio o a ottobre equivaleva a un harakiri: ulteriore perdita di consenso dei moderati e rafforzamento del binomio radical-populista. I danni sarebbero stati peggiori di quel che saranno. Tali sono le ragioni che han convinto l’ex premier ad accettare la costituzione d’un gabinetto del quale saranno parte quelli che lui avrebbe messo a pulire i cessi di Mediaset.

Ottenuto il lasciapassare, la coppia nuovista che dice d’aver vinto elezioni mai vinte deve costruire tutto. La leadership, i ministri, il programma. Di sicuro il capo dell’esecutivo non sarà né Di Maio né Salvini, di sicuro i titolari dei vari dicasteri disporranno di competenze sconosciute al mondo gialloverde, di sicuro le cose che si faranno risulteranno diverse da quelle che ci si diceva pronti a fare. Berlusconi con la sua pressione e Mattarella con la sua garanzia impediranno di percorrere vie impraticabili. Va bene cambiare, non va bene sovvertire.

Il Paese resta bisognoso di tregua, buonsenso, realismo. L’esatto contrario di quanto sostengono Cinquestelle e Lega, tenaci fino a ieri (ma non da oggi) a proporre l’irrealizzabile. Cioè: garantire un reddito di cittadinanza del valore di 15 miliardi almeno, abolire la legge Fornero e imporre la flat tax per un importo di 15-20 miliardi, buttare ex abrupto fuori dei nostri confini seicentomila immigrati. Se questo promessificio venisse mantenuto, lo Stato fallirebbe. E ci ritroveremmo le tasche vuote, gli stipendi pubblici volatilizzati, le pensioni svanite. Eccetera. Dove pensavano di trovare i soldi per il loro luna park, gli statisti Salvini e Di Maio? Ha detto nei giorni scorsi il presidente di Confindustria Boccia: ”Serve un’iniezione di realtà e verità”.

Appunto. È la stessa cosa che va predicando Mattarella. Ma finora invano. I partiti non gli han dato retta, e il capo dello Stato s’è trovato nella condizione di dover proporre un governo di transizione/servizio/garanzia che evitasse il default pubblico, sbrigando la normale amministrazione, facendo fronte a emergenze economiche e internazionali, creando le premesse per un ritorno al voto in condizioni sensate. Magari con una legge elettorale corretta. La sua obbligata opzione ha convinto Di Maio e Salvini a cercare il pateracchio in extremis.

Comunque finirà l’avventura, resta l’evidente guaio d’una classe dirigente inadatta a interpretare il rinnovamento voluto dai cittadini. Leader mediocri, non esitando a soffiare demagogicamente sopra le fiamme sociali, han raccolto lo scontento popolare. Ma senza avere uno straccio di progetto davvero praticabile per darvi una soluzione concreta. Non solo: Lega e Cinquestelle, aspri rivali nei mesi della propaganda e sostenitori d’idee opposte, hanno prima lanciato un’alleanza fondata solo sulla reciproca convenienza a occupare gli scranni del potere, poi si sono dimostrati incapaci di realizzarla, ora balbettano per riuscirvi in qualche modo, ricredendosi sul festival delle fanfaronate. Cui ha buone probabilità di seguire la fiera del più indecoroso compromesso.

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