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Attualità

GIRO/1 LA SFIDA

CESARE CHIERICATI - 04/05/2018

giroSono numerose le ragioni che hanno spinto gli organizzatori della Gazzetta dello Sport (RCS) a far partire il Giro d’Italia (edizione 101) da Gerusalemme. Le più decisive, diciamolo con chiarezza, sono economiche. Prima di tutto pare che lo Stato israeliano abbia fatto un’offerta di alcuni milioni di dollari, i soliti ben informati parlano di quattro, ma se anche fossero la metà o un terzo si tratterebbe sempre di una cifra molto rilevante. Del resto nel ciclismo le cose oggi vanno così: una città, d’arte o meno, o una località semplicemente turistica fanno un’offerta e chi tira fuori più quattrini e mette sul piatto sicurezza, agibilità e servizi in linea con gli standard fissati dall’organizzazione, ha più probabilità di essere scelto.

La seconda ragione è di marketing. Il Giro, come tutto il ciclismo, negli ultimi venti – trent’anni ha di molto allargato i suoi orizzonti. Dopo le escursioni nell’Europa occidentale (Grecia, Olanda, Francia, Gran Bretagna, Germania…) si è andati nell’Est europeo, gare sono poi fiorite in Colombia, Stati Uniti, Canada, Australia, Cina fin nel remoto Vietnam. Tutti terreni fertili per la pubblicità, per la vendita di biciclette di medio alta gamma e di tutto l’indotto relativo. Senza trascurare il diffondersi delle due ruote come mezzo di trasporto alternativo alle auto che stanno ormai saturando anche le città del terzo mondo.

Chi ospita le corse e le organizza riceve in cambio attenzione, visibilità turistica e un’immagine verde che oggi è una patente, vera o falsa che sia, valida a tutte le latitudini. Anche l’Africa sta facendo non da oggi la sua parte. Indimenticabili restano i mondiali surreali in Qatar con le strade totalmente vuote di spettatori, una corsa astratta, un monumento al business e al dio denaro.

Tuttavia lo sbarco della carovana in Israele, oltre a quelle economiche, ha anche rilevanti motivazioni ideali legate alle gesta di eroica solidarietà di Gino Bartali nei confronti degli ebrei residenti in Toscana e a rischio deportazione nei campi di sterminio nel 1943 –‘44. Vicenda tragica e gloriosa di cui abbiamo scritto nel numero precedente di RMFonline. Il fatto però che il nome del grande campione di Ponte a Ema sia oggi impresso nel giardino dei giusti del Mausoleo della Memoria dello Yad Vashem e che la Rai si appresti a proporre in alta definizione giornate di levigata bellezza televisiva su fondali di paesaggi ciclistici mozzafiato, non deve far passare in secondo piano la questione palestinese che insanguina dal 1948 quella regione e neppure il fatto che Gerusalemme era e resta una città divisa con la parte araba in endemica sofferenza. E ciò nonostante il governo si affanni a proclamare: “Gerusalemme è la capitale, non vi sono est e ovest” dimenticando che l’annessione formale da parte israeliana, dopo l’occupazione della zona est (1967), non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale. In merito molti studiosi hanno parlato di “giudaizzazione” di Gerusalemme Est.

In realtà il Giro rosa va a issare le sue tende luccicanti in una delle zone più calde del mondo dove si vive, da una parte e dall’altra, in un perenne stato di latente conflitto con reciproci negazionismi e cicliche esplosioni di odio e violenza, in qualche misura ora propiziate anche dalla decisione di Trump di trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Al netto di queste considerazioni non bisogna infine dimenticare che Gerusalemme resta comunque, il cuore della Terra Santa, il luogo sacro delle tre religioni monoteiste con tutto ciò che questo comporta sia sul piano simbolico sia sul piano sostanziale. Le prime quattro tappe del Giro sono un viaggio nelle storia e nelle sue pulsioni: cultura, fede, politica e sport in problematico equilibrio.

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