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Apologie Paradossali

TORNARE A SCUOLA

COSTANTE PORTATADINO - 04/05/2018

cordata(S) Ti stai proponendo compiti sempre più ambiziosi. Ma non ti permetto di lanciare proclami a vuoto; devi assumerti la responsabilità di mostrarne la realizzabilità. Ti ricordo, per esempio e non per polemica, come hai concluso l’apologia della scorsa settimana: sostenevi che, affinché la scuola sia non un inutile parcheggio di bulli e pupe, occorre ”un forte miglioramento dell’efficacia dell’insegnamento, che non è possibile se non per mezzo di una capacità di individualizzarlo, fornendo a ciascuno le motivazioni e le soddisfazioni morali che facciano della scuola un luogo dove valga la pena vivere, studiare e lavorare”. Non ti sarebbe facile farlo nemmeno se ti facessero ministro. Prendi questo caso: sabato scorso, alla mattina, appena uscito il tuo pezzo su RMFonline, mi capita di assistere ad una trasmissione sull’argomento ‘bullismo’ su uno dei principali canali nazionali TV, (non dico quale per non svergognare conduttrice, autori e direttore di rete). Ebbene, gli ‘esperti’ convocati per approfondire l’argomento: pedagogista, giornalista, professore, sacerdote, criminologo, giudice, ecc. non hanno fatto altro che ‘bullizzarsi’ a vicenda, interrompendosi sguaiatamente, cercando di sovrastare la voce l’uno dell’altro, non prendendo in considerazione gli argomenti altrui, evitando solamente l’insulto volgare.

(C) L’ho visto anch’io e mi ha molto rattristato. Niente al confronto con la notizia di questo mercoledì: nel pieno centro di Varese il padre di un ragazzino delle medie, saputo che il figlio che aveva litigato con un compagno di scuola, lo ‘vendica’ affrontando per strada il compagno e colpendolo con un pugno, mentre la classe intera sta ritornando a scuola dopo aver assistito ad uno spettacolo sul bullismo.

(O) Speriamo non ci sia dell’altro, mi pare così incredibile.

(C) Quando si leggerà l’articolo saranno emerse altre circostanze, speriamo non aggravanti e che tutto sia finito lì. Ma non voglio nemmeno commentare il fatto; lo faranno in troppi e spanderanno il solito cumulo di ovvietà, buoniste e cattiviste. Preferisco raccogliere la sfida di Sebastiano e cercare di trovare gli elementi essenziali di una scuola veramente ‘buona’.

  1. Voler educare. Non è un proposito scontato. Il nostro ministero si occupa di ‘istruzione’. Ha rinunciato all’educazione dagli albori della Repubblica. Non so se ancor oggi, ma fino a qualche anno fa traspariva dalla vecchia imbiancatura esterna del palazzone ministeriale di Viale Trastevere l’intitolazione: Ministero dell’educazione nazionale, a malapena affiancata ma non ricoperta dalla denominazione attuale: Pubblica Istruzione. Giusta l’idea di rinunciare ad un’educazione ‘di Stato’; per nulla quella di pensare che bastasse elevare il livello medio dell’istruzione per far crescere cittadini migliori. Al totalitarismo che voleva far diventare tutti Balilla non si è sostituita la possibilità di un pluralismo educativo, ma una vuota neutralità. Anzi, una apparente neutralità: la scuola, ridotta a fattore di promozione socio-economica, privilegia sempre più i modelli di comportamento funzionali allo status quo.
  2. Creare il patto educativo tra la scuola e la famiglia, con la crescente partecipazione dell’ alunno stesso. Questo anello di congiunzione è essenziale per realizzare una vera relazione educativa. I vari POF e PTOF, ‘piani dell’offerta formativa’ hanno una dimensione solo formale, in mancanza di una sostanziale autonomia culturale e pedagogica della singola scuola. Paradossalmente servono egregiamente nel caso della scuola paritaria, che nasce già con una sua identità e cerca di svilupparla. La scuola paritaria, se fosse tale anche sul piano dell’impegno economico delle famiglie, sarebbe di stimolo e di esempio a tutto il sistema e spingerebbe fortemente la parte statale all’adozione dei principi dell’autonomia nella selezione del personale e nei metodi pedagogici innovativi.
  3. Il docente. Dal punto precedente discende la valorizzazione del docente, che non può limitarsi a trasmettere conoscenze, ma deve essere capace di attrarre l’interesse del giovane, di valorizzarne gli interessi naturali, di comunicare certezze culturali e morali. Questo non è possibile solo a parole, attraverso contenuti concettuali, occorre che abbia la possibilità di far compiere esperienze significative, facendo vedere il nesso tra la vita reale e l’oggetto dell’insegnamento.
  4. Il metodo. Il sapere propriamente umano è oggi terribilmente minacciato dalla digitalizzazione. Non mi riferisco all’uso invasivo di strumenti digitali, banalmente sostitutivi della fatica dell’apprendimento mnemonico e della materialità del calcolo mentale. Per essere introdotto, conservato e reso disponibile in forma digitale, il sapere deve essere necessariamente frammentato, ordinato in sequenze rigide. Il maestro, invece, procede con un metodo analogico, aiuterà la formazione della domanda nell’alunno e da questa lo aiuterà a passare alla scoperta della risposta. Questo metodo è particolarmente importante in vista della formazione al lavoro, in particolare a quello professionale. Dal momento che la parte ripetitiva del lavoro è appunto sempre più affidata a sistemi automatici, il lavoro propriamente umano sarà sempre di più risolvere problemi, cioè affrontare situazioni che non saranno mai identiche ad un modello precostituito, ma che dovranno essere capite e valutate con il metodo dell’analogia.

(S) Beh, adesso basta! Ci potresti scrivere un libro, se ti lasciamo fare. Facci qualche esempio concreto.

(C) Sì, ne ho almeno uno, che mi piace molto. È un esperienza che ho fatto molti anni fa, quello della scuola di alpinismo del Club Alpino. C’erano tutti gli elementi descritti sopra, anzi qualcuno di più. Tutto cominciò, e sono sicuro che è ancora così, da un rapporto personale. Per quanto possa essere innato il desiderio di salire su di una cima, di scalare una parete, c’è sempre qualcuno che ti ‘porta’, di fatto o anche solo con l’esempio. Quando decidi di legarti in cordata per la prima volta accetti di dipendere da lui. Non ti accontenti di sentire delle indicazioni, di ricevere dei consigli, cerchi veramente di immedesimarti, di fare gli stessi passi, gli stessi gesti. C’erano ovviamente anche momenti di lezione, tecniche da apprendere, nozioni da imparare a memoria, ma il manuale non serviva più, una volta che ti eri innalzato anche di pochi metri dalla base della parete. Contava la fiducia che avevi sviluppato, nel tuo capocordata e in te stesso e naturalmente molto di più quando a tua volta eri diventato primo in cordata.

Avevi compiuto un percorso analogico. Lo stesso valeva per ogni gesto, apparentemente banale, in realtà decisivo della tua stessa vita: piantare un chiodo in modo tale da essere sicuro che ‘tenga’, disporre una corda doppia, scavare gradini nel ghiaccio, manovrare i ramponi e la piccozza, valutare la tenuta di un appiglio o di uno strato di neve: un gesto unico ogni volta che solo l’esperienza dell’analogia ti poteva confermare. Tante volte è servito il richiamo burbero del compagno a causa di un tuo errore o di una distrazione. Dall’analogia arrivavi alla certezza morale.

Troverei assolutamente meravigliosa quella scuola che potesse applicare lo stesso metodo all’insegnamento delle svariate materie necessarie alla vita e al lavoro. Forse era così la bottega artigiana, un tempo, riusciva ad insegnare il mestiere e a formare l’uomo.

(O) Ripongo una discreta speranza che la cosiddetta alternanza scuola- lavoro possa rispondere a questa esigenza anche se non è così diffusa nel mondo del lavoro la mentalità del maestro che insegna gratuitamente la propria ‘arte’. Vale piuttosto la competizione. Anche io però ho degli esempi positivi: lo sono stati sicuramente i tirocini dei liceali e degli universitari di scienze della formazione fatti nelle scuole materne e negli asili nido del mio paese. Sarà perché la presenza di questi giovani costituiva comunque un aiuto concreto alle educatrici, ma tutti hanno generato reciproca soddisfazione. Sapete? Mi piacerebbe tornare a scuola, in questo modo. Anche da studente.

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