La campana per chiamare il pasto in refettorio, la bussola delle votazioni con i fagioli bianchi e neri per l’ammissione dei novizi, il tessuto con cui viene confezionato il saio, i laboratori all’interno dei conventi, le ceste intrecciate con il vimini usate per la questua, l’attrezzatura per confezionare le corone del rosario. In mostra gli oggetti della vita quotidiana dei frati cappuccini in Lombardia nel primo ‘600, all’epoca in cui Manzoni ambientò i Promessi Sposi. Sede della esposizione, in aprile, il museo dei Cappuccini in viale Piave a Milano in occasione della conferenza “I beni culturali svelano il convento” a cura della conservatrice Rosa Giorgi.
“Sono oggetti caduti in disuso che documentano come vivevano i frati nei secoli passati”, spiega la conservatrice dell’unico museo francescano della Lombardia. Rosa Giorgi, storica dell’arte, esperta di iconografia e di iconologia cristiana, è una profonda conoscitrice di quest’Ordine dei mendicanti. Nel 2007 ha pubblicato I Cappuccini e i Promessi Sposi, nel 2010 San Francesco a Milano, Guida ai luoghi francescani della città, nel 2011 I Santi e i loro simboli e nel 2015 Francesco, storie della vita del Santo (Electa), indagine sull’immagine di San Francesco attraverso i capolavori di Giotto, Cimabue, Gentile da Fabriano e Caravaggio.
L’Ordine dei cappuccini, presente a Milano dal 1535, ha sempre saputo farsi apprezzare dalla popolazione per il quotidiano servizio tra la gente. E lo fa anche oggi. Riconosciuto nel 1528 da papa Clemente VII come terza emanazione dell’Ordine del santo di Assisi alla ricerca di una vita aderente alla regola originaria, assiste i poveri e le persone bisognose di vitto, fornisce vestiti, garantisce igiene personale e cure mediche, offre ascolto e protezione. In Lombardia dispone di ventitré conventi che vantano una comune storia di povertà, rinunce e assistenza ai più deboli.
Nel 1576 padre Bellintani da Salò organizzò il lazzaretto durante la peste di San Carlo. Mezzo secolo più tardi il cappuccino G. B. Aguggiari raccolse i fondi per costruire il Sacro Monte di Varese e nel 1886 i frati assicurarono l’assistenza ai malati di colera. Al 1959 risale la fondazione a Milano dell’Opera San Francesco per i poveri che nel 2017 ha servito 738.363 pasti caldi, assicurato 65.604 ingressi alle docce, 9.772 cambi d’abito, 34.440 visite mediche, accolto 26.487 persone in gravi difficoltà con il contributo di volontari e donatori. È cronaca dei nostri giorni. Il bisogno colpisce le città emblemi del benessere e il sogno di migliaia di migranti che arrivano da lontano s’infrange contro la drammatica realtà.
Con le frequenti mostre e la collezione permanente, il museo dei Cappuccini di Milano, accanto alla mensa dei poveri, offre l’occasione di conoscere l’Ordine attraverso le opere d’arte conservate negli archivi, spiega il pensiero e le attività missionarie dei frati, illustra l’ambito culturale e religioso nel quale hanno operato in campo storico, artistico e culturale. Ritornano alla mente le parole di fra Galdino: “E si faceva tant’olio, che ogni povero veniva a prenderne, secondo il suo bisogno; perché noi siamo come il mare, che riceve acqua da tutte le parti e la torna a distribuire a tutti i fiumi” (A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. III).
“Allo stesso modo – spiega la conservatrice – le opere d’arte che per diverse ragioni sono patrimonio dell’Ordine dei frati minori cappuccini vengono “restituite”, attraverso il museo, affinché tutti ne possano godere. Per questo l’ingresso è e sarà sempre gratuito, rimettendosi ancora una volta alla generosità di ciascuno per il sostegno dell’attività museale. I frati cappuccini si sono sempre prodigati nell’aiuto dei più bisognosi, così come san Francesco fece con il lebbroso e seguendo il suo esempio il museo si esprime con i suoi progetti nell’ambito dei beni culturali”.
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