Nato nel 1862 a Salzwedel (Magdeburgo), Friedrich Meinecke, storico e filosofo, compie studi a Bonn e a Berlino, dove è allievo di Droysen, nel 1895 assume con von Treitschke la direzione della Historische Zeitschrift. Dal 1901 è docente nelle Università di Strasburgo, Friburgo e Berlino di cui nel 1949 sarà Rettore). Negli ultimi anni del nazismo si tiene lontano dalla vita pubblica.
Affronta primi argomenti eruditi (La vita del Generale H. von Boyen, 1896-1899). L’epopea della sollevazione tedesca (1906) affronta il problema del rapporto tra libertà individuale e dovere verso lo Stato (interpretazione delle realtà politiche in chiave di storia delle idee, concepite come forze operanti nelle personalità singole e nelle collettività, quindi nell’interagire come forze motrici della storia. Ha poi contatti con Windelband,Rickert, Weber, Troeltsch. L’esperienza del fine Reich bismarckiano gli ispira una duplice ricerca: quella di indagare il tema della Realpolitik (inaugurato dal Machiavelli) e della ragion di Stato e al contempo d’approfondire l’origine dello storicismo (L’idea della ragion di Stato nella storia moderna, 1924). Hegel e Ranke potevano ancora includere la potenza politica in una visione del mondo idealistica, riconoscendone la fonte spirituale; nell’età dell’imperialismo invece l’eticizzazione della ragion di Stato appare ormai soltanto come un’orribile maschera. Meinecke avverte la necessità di riconquistare una visione cosmopolitica (è il rovescio del cammino dal cosmopolitismo allo Stato nazionale). Onde la fedeltà all’ideale rankiano di un sentimento universale europeo.
L’opera del 1936 Le origini dello storicismo dimostra che la storia della sua gestazione termina con Goethe. Va riannodata la visione storica, individualizzante e relativizzante, con la fede nei valori supremi della cultura. Lo storicismo contempla l’esistenza di valori, che conferiscono al divenire storico un teleologismo di fondo; è la conciliazione di un’ottica individualizzante con l’affermazione di valori universali, che consentano di evitare il relativismo. In Goethe c’ è il punto di conciliazione tra ideale e universale, richiamandone la teoria dell’attimo intemporale, in cui la coscienza sembra attingere valori universali. Meinecke finisce per fare appello alla fede e alla presenza di un principio provvidenziale nella storia per spiegarne l’orientamento verso valori metastorici. Senso della storia e significato della storia (1939), da Leibniz a Goethe, definisce lo storicismo come un movimento essenzialmente tedesco, non una semplice corrente storiografica. Dopo la Riforma è stato la seconda delle grandi imprese di portata universale. Ne La catastrofe della Germania (1956, postuma) c’è tutta una riflessione sul destino del popolo tedesco.
La storia non è concepita da Meinecke come un indifferente divenire dell’umanità in generale, ma come una varietà di civiltà, di culture, di epoche caratterizzate da individualità, con caratteri specifici distintivi. C’è in lui la rinuncia a una considerazione generalizzante astrattiva, cioè alle prospettive proprie del giusnaturalismo e dell’illuminismo (natura umana immodificabile, regolata nella sua azione storica da leggi universali). Condivide con il positivismo il concetto centrale di evoluzione, ma lo distingue da un lato dallo sviluppo di germi già posti, dall’altro dal criterio di perfezionamento dell’illuminismo, che dopo di esso divenne fede nel progresso (concezione positivistica). L’evoluzione è la storia di ogni singola comunità (nazione, popolo ecc.), che ne caratterizza e spiega l’individualità senza obbedire a un progetto preordinato e al tempo stesso senza potere essere ricondotta a un percorso comune a tutta l’umanità. Di qui l’istanza di una filosofia che consideri esistenti soltanto le individualità, sia singole che collettive, rifiutando di trattarle come casi o esemplificazioni di un’unica natura umana; c’è bisogno di un metodo individualizzante per spiegare le dinamiche senza ricondurle a leggi universali. Si impone il carattere storico evolutivo di ogni individualità, che si costituisce ed è comprensibile solo nell’insieme del proprio divenire, non riconducibile a un processo comune a tutta l’umanità. Il suo è uno storicismo problematico, capace di tenere insieme la materialità dei processi storici e la natura intellettuale dei valori etici.
Due sono i caratteri definitivi del suo storicismo nel metodo idiografico: volgersi alla conoscenza di ciò che è singolare, invece che generale e tipico; concetto di sviluppo come manifestazione singolare e irripetibile dello spirito e momento di un processo temporale continuo, indirizzato verso una qualche meta. Tutto quello che è umano è storico, vive e muta nel tempo. Gli eventi naturali sono retti da leggi, quelli storici sono in rapporto con l’assoluto, con Dio. Meinecke risale a una concezione dinamicistica della vita, affermatasi in Germania nel periodo fra Leibniz e Goethe e poi tradita da Hegel.
Altre opere: Cosmopolitismo e Stato nazionale, 1908), Radowitz e la rivoluzione tedesca (1913), Dopo la rivoluzione (1919), Aforismi e schizzi sulla storia (1942).
You must be logged in to post a comment Login