L’Invimit è la società di gestione del risparmio del ministero dell’Economia e delle finanze. Il suo presidente, Massimo Ferrarese, pochi giorni fa, ha dichiarato: “Nel Meridione, ai potenziali investitori fa più paura la burocrazia che la mafia”.
La dichiarazione è forte e inquietante, specie perché proviene dal vertice della società pubblica cui il ministero dell’Economia ha affidato la gestione del risparmio attraverso l’istituzione, la promozione e l’organizzazione di fondi comuni d’investimento immobiliari.
L’Invimit con le pubbliche amministrazioni e con le loro burocrazie “gioca in casa”, eppure rileva il perdurare dell’esistenza di questo muro insuperabile che è il mancato funzionamento al sud degli apparati burocratici. Dico il perdurare perché il problema si trascina da decenni e, non più tardi di dieci anni fa è stato piazzato al primo posto delle negatività individuate dagli investitori esteri, per valutare eventuali insediamenti nel mezzogiorno, seguito dall’alto tasso di criminalità e dalla lentezza della giustizia civile, penale e amministrativa.
Dai rilevamenti del Sole 24 ore dello scorso mese di ottobre i dipendenti della regione siciliana sono 17.057; quelli della regione Lombardia meno di 3.500. I dirigenti 1.692, uno ogni sei dipendenti, contro i 1.919 del totale delle 15 regioni a statuto ordinario.
Peccato che in Lombardia i cittadini utenti della pubblica amministrazione siano più del doppio dei siciliani e, nonostante ciò, le cose funzionano certamente meglio.
Se consideriamo che i dipendenti regionali in Sicilia costano un miliardo di euro l’anno, quanto 15 regioni a statuto ordinario messe insieme, e che tale ipertrofica macchina burocratica invece di erogare servizi a tempi di record rallenta, se non paralizza, ogni pratica a essa sottoposta, dobbiamo trovare immediatamente soluzioni al problema, che non è solo della Sicilia ma dell’intero Mezzogiorno.
Tale stato di cose, che si concretizza nella formula “danno emergente e lucro cessante”, perché la mancanza di investimenti appiattisce il Pil, genera un frutto avvelenato che giorno dopo giorno fa morire sul nascere ogni prospettiva di ripresa e sviluppo.
A Enna la Fassa Bortolo, società operante nel settore dei materiali da costruzione dal Settecento, per aprire una cava ha impiegato cinque anni; anche la Consip, la centrale acquisti dello Stato, è paralizzata dalla lentocrazia con il conseguente blocco di forniture per un miliardo di euro, e gli inevitabili disservizi e inefficienze conseguenti.
Il nuovo governo deve affrontare una volta per tutte il problema dei pubblici dipendenti, che non possono considerarsi correttamente impiegati solo se sono presenti per sei ore e quaranta minuti sul posto di lavoro, se non rubano, e se timbrano correttamente il cartellino.
Il lavoro è un’altra cosa; il lavoro è quando torni a casa stanco; il lavoro è quando percepisci di esserti guadagnato lo stipendio e non quando incassi una rendita da posizione;il lavoro è una cosa seria.
E allora, dal mio punto di vista, bisogna introdurre immediatamente seri criteri di valutazione delle prestazioni paragonando i carichi di lavoro dei pubblici dipendenti a quelli dei dipendenti privati; bisogna sottoporre a verifica la capacità valutativa dei dirigenti che, nelle note caratteristiche annuali formulate per ciascun dipendente, non attribuiscono mai meno di “ottimo”… Per non rovinargli la carriera”.
Bisogna reintrodurre la vecchia giusta causa di licenziamento “per scarso rendimento” anche nel pubblico impiego; lo Stato, le Regioni, i Comuni abbiano il coraggio di usare la mano pesante.
Si perderanno forse molte cause di lavoro, ma si porrà fine una volta per tutte a questa vergogna nazionale che, in tempi difficili come quelli attuali, è una zavorra che ci porta a fondo.
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