“Vanità delle vanità, dice Qohelet, / vanità delle vanità, tutto è vanità…”. E poco più avanti: “Ciò che è stato sarà / e ciò che è fatto si rifarà; / non c’è niente di nuovo sotto il sole”. Nihil sub sole novi, dunque. È l’attacco, famosissimo, di Qohelet o Ecclesiaste come si diceva nelle versioni preconciliari, uno dei libri sapienziali della Bibbia, una meditazione sulla vita, una riflessione, e forse anche una poesia.
Spesso è stato usato questo concetto – Nihil sub sole novi, cioè non c’è niente di nuovo sotto il sole –, allo stesso modo di cui qualcuno, sbagliando, interpreta la teoria vichiana dei ricorsi storici o delle “costanti”, per dire che insomma la storia si ripete e che perciò molti fatti che accadono oggi possono in qualche essere ricondotti o assimilati al passato.
Non è proprio così, crediamo, e ciò riguarda soprattutto per l’inizio dell’Ecclesiaste, che non è l’affermazione di una ripetitività nella storia ma un’affermazione relativa alla condizione umana: l’uomo non è infinitamente buono, e nemmeno infinitamente cattivo. I suoi comportamenti dell’animo non cambiano nel corso dei millenni. In questo e soltanto in questo non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
Invece succede, leggendo certi interventi – specialmente nei social che più dei giornali ormai fanno la parte del leone in queste analisi pop – che quel “nihil sub sole novi” venga equiparato alla vista di certi fatti di oggi, e che dunque, che so, si pensi alla rinascita del fascismo o del nazismo, forse anche a una situazione come si dice “diciannovista”, invece che del 2018, a una riesplosione del razzismo, magari antiebraico, e così via.
Su questo tema si deve essere chiari. E riprendiamo quanto, proprio qualche settimana fa, il giornalista Aldo Cazzullo ha scritto sul Corriere della Sera, rispondendo alla lettera di un lettore: “No, la storia non si ripeterà. Non lo fa mai. L’eterno ritorno è un po’ una nostra malattia, frutto (…) di una certa pigrizia intellettuale di pensatori convinti che i confini del mondo coincidano con quelli della loro testa, che l’opinione sia tutto e la realtà nulla, e che le cose siano già scritte nei libri; mentre bisogna sempre andare a vedere come le cose stanno davvero, per rendersi conto che cambiano di continuo. E non tornano quasi mai”.
Non si può non concordare con queste parole. La storia continua, cambia si evolve, e se l’animo umano per certi aspetti è in qualche maniera immutabile nel tempo non sono immutabili le risposte che egli dà in condizioni del tutto differenti, inevitabilmente differenti.
Se si dovesse identificare il più rilevante di questi processi di trasformazione, lo si potrebbe trovare nella comunicazione, in generale e tra un essere umano e l’altro. Già la radio, la televisione, tutte le componenti audiovisive, e poi i giornali, hanno modificano e modificano la storia e l’uomo che ne è coinvolto e che pure in qualche modo alla fine risulta essere un uomo diverso. Si pensi, solo come ultimo esempio, al mondo dell’informatica e a Internet, a questa rete che tutto avviluppa in sé stessa.
Si fa fatica, leggendo certe “ricostruzioni” storiche, per esempio, a pensare a alcuni eventi come a conquiste inequivocabili di una parte sull’altra in parità di condizioni, rapportate a oggi, a sopraffazioni, emettendo giudizi inappellabili. Il Nord italiano che – centocinquant’anni fa – invade un Sud felice e prospero e lo fa suo. L’informazione, la stesse condizioni umane erano diverse. L’equipare un Nord Italia in cui l’analfabetismo si aggirava attorno al 50% a un Sud in cui toccava “vette” anche del 90% stravolge ogni interpretazione.
E nella storia, anche la storia della persona, l’uomo stesso che cresce e invecchia è diverso dal ragazzo che una volta era.
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