Non è sufficiente strapparci le vesti davanti al fenomeno di bullismo accaduto recentemente in un istituto scolastico di Lucca, dove un adolescente ha sfidato il suo professore come un prode che si impone compiendo gesta d’eroicità. Né basta condannare i giovani d’oggi regrediti alle pulsioni istintive o la società disastrata in cui tutto viene legittimato. C’è sempre stata la tendenza in questi anni a scaricare la colpa su entità astratte. È tempo di uscire dalle ideologie, così come è tempo di giudicare ogni episodio per quello che è, senza scomodare in ogni occasione i massimi sistemi.
La crisi educativa del nostro tempo, una vera e propria emergenza, è dovuta non solo alla caduta improvvisa di valori che credevamo perenni, ma soprattutto alla mancanza di punti di riferimento, dei “fondamentali”, che si apprendevano nella vita e nelle aule da genitori di buon senso e da maestri di vita. Erano loro che dispensavano non solo cultura, ma sapienza e saggezza.
In questi giorni ho pensato spesso a Jacques Maritain, il filosofo francese di cui ricorderemo il 28 aprile il 25° della sua scomparsa, e mi sono chiesto quali sarebbero i fondamentali che lui, maestro di un’intera generazione di insegnanti, indicherebbe agli educatori delusi, disorientati o rassegnati d’oggi.
Lui, Jacques Maritain, che, grazie ai suoi scritti di filosofia dell’educazione divulgati in Italia dal nostro Piero Viotto, ci infuse il coraggio di educare, sarebbe ancora capace di indicare agli educatori d’oggi le mete, i metodi, i pericoli da evitare per un impegno educativo capace di sviluppare l’uomo integrale?
In una lucida introduzione al volume di Samuele Pinna, (“Un grande amico: il Maritain di Piero Viotto”, Studium) Vittorio Possenti scrive di Maritain che dalla sua vita e dal suo pensiero sgorga una sorgente di verità, di amore, di sapienza e di contemplazione.
La ricerca della verità è per Maritain il fine dell’educazione perché l’uomo è tale quando si è incontrato con la verità. Verità che non è conoscenza, acquisizione di competenze, di nozioni, di abilità, ma una forte stabilità interiore, un carattere ben temprato. Ed è la verità che influisce sulla formazione integrale della persona. Ai giorni nostri, Maritain condannerebbe ancora – come fece in “Educazione al bivio” – l’intellettualismo, cioè l’imparaticcio che non è sapere, ma conoscere, e proporrebbe al contrario la cultura educativa che è capacità di critica sincera, di formulare dubbi, di avvertire i problemi e di volerli affrontare con i criteri della verità. In una parola, di produrre ideali e non oggetti preziosi da esporre per il proprio narcisismo.
Il cognitivismo ha bandito, inoltre, dalla scuola l’educazione del cuore, cioè dei sentimenti, delle emozioni, dei legami affettivi stabili perché l’uomo si sviluppi secondo ciò che è cresciuto nel suo cuore o secondo ciò che gli sta a cuore. La formazione dell’intelletto è inseparabile da quella del cuore: separando l’intelligenza dall’affettività, entrambe s’impoveriscono.
E accanto al cognitivismo Maritain condannerebbe – come già fece per il pragmatismo – la tendenza a affidare tutto alla tecnologia (da non confondersi con la scienza!) quando essa – si pensi all’informatica! -non pretenda una competenza, un rigore, un ordine mentale, un rapporto con il tempo e lo spazio, ma affidi la tastiera di un computer a bambini con il pericolo di creare dei campioncini elettronici, ma analfabeti del senso e della filosofia di una società elettronica.
L’amore si manifesta nel rapporto educativo tra genitori e figli, tra professore e allievi, tra educatori e i soggetti a loro affidati. La relazione educativa si coniuga tra libertà e autorità. In un’epoca dominata dal lassismo esercitato da genitori giovanilisti con le rughe o da un permissivisti con la pancia con cui i figli coabitano, ma non convivono, e in cui i padri sono sovente assenti, occorre recuperare il valore dell’autorevolezza dell’educatore il quale è tale quando esercita questo suo dovere verso colui che gli è affidato per condurlo verso la libertà. Il cucciolo dell’uomo – sono parole di Maritain – “è plastico e suggestionabile e la sua libertà è danneggiata e sprecata a casaccio se non viene aiutata e guidata”. Tanti ragazzi e giovani d’oggi sono alla ricerca di un’autorità e non la trovano: vogliono il padre e non l’amico, la madre e non una novella Cornelia che esibisca figli primi in tutto: vogliono un prete che sia un prete, una messa che sia una messa, anche quando non ci vanno. Tra le due opposte minacce dell’astensione e dell’appropriazione, l’impegno dell’educatore appare come l’impegno di una libertà al servizio di un’altra libertà. La responsabilità dell’educatore è quella di risvegliare la coscienza, non di dominarla.
Sempre nel saggio “Educazione al bivio”, che raccoglie le lezioni tenute da Maritain all’università di Yale nel 1943, in piena seconda guerra mondiale, egli condanna l’incipiente sociologismo che vede nella società il fattore educativo predominante sull’ individuo. Quando l’agire educativo si riduce all’adattamento facile o al solo successo socio- economico una società muore perché proietta davanti a sé solo benessere, che rischia di ridursi presto a un grigio fallimento. L’educazione non può costruire individui, ma persone che tali sono quando vivono in relazione con gli altri, rinunciando talvolta ai propri desideri per cercare ciò che unisce e non ciò che divide. Notiamo che oggi il “gruppo”, la “banda”, il “clan” non esprimono persone libere, ma gregari, individui solisti che soccombono al più forte.
L’educazione raggiunge il suo fine quando sviluppa l’uomo integrale: intelletto, cuore, relazione con gli altri e quando vive il suo tempo.
Vorremmo ricordare il Maritain pensatore, filosofo, amico di artisti, di poeti, di registi, protagonista della cultura francese cattolica, avremmo voluto ricordare il Maritain amico di Paolo VI°, l’intellettuale che influenzò l’impegno politico dei cattolici, abbiamo preferito parlare di Jacques Maritain come filosofo dell’educazione perché sentiamo l’urgenza del recupero dei “fondamentali” dell’educazione per la sopravvivenza di una società dotata di senso.
I tempi cambiano, è vero, la società muta, la cultura si evolve, ma i fondamentali restano! A Lucca sono scomparsi.
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