Bollettino di guerra. Centocinque missili da crociera Tomahawk esplosi in due salve successive da un incrociatore e da un cacciatorpediniere americani dislocati nel Mar Rosso. Un altro cacciatorpediniere ha colpito dal Golfo Persico mentre un sottomarino Usa e una fregata francese incrociavano nel Mediterraneo. Dal cielo sono entrati in azione due bombardieri Usa B-1, diciassette missili sono stati lanciati dai caccia Rafale e Mirage francesi e dai jet Tornado britannici. Un bell’arsenale che ora gli “industriali della guerra” dovranno sostituire. Un solo Tomahawk costa un milione di dollari. I francesi hanno testato nuovi droni militari e Israele rivendica di aver colpito una base.
Il buon senso non aiuta l’uomo della strada a comprendere quello che accade in Siria. “Missione compiuta!” gongola su twitter il 45° presidente americano Donald Trump dopo aver colpito i depositi di armi chimiche a Damasco che il siriano Bashar al-Assad avrebbe usato contro i ribelli (con la complicità russa, secondo il presidente francese Macron). “E siamo pronti a rifarlo”, minaccia. Purtroppo non è un film in gara al Festival di Cannes. E i missili e le bombe convenzionali non sono più accettabili delle armi chimiche. Il presidente settantenne, il più vecchio mai eletto in Usa, miliardario abbonato agli scandali a luci rosse, imprenditore e personaggio tv dall’improbabile ciuffo biondo, sembra a suo agio quando cantano le pistole.
Gli americani lo hanno scelto nel 2016 con il sostegno del 56,5% dei grandi elettori e con tre milioni di preferenze popolari in meno della rivale democratica Hillary Clinton, servendosi forse di qualche discutibile procedura informatica che resta da chiarire. Si è finora distinto per le eclatanti posizioni iperprotezioniste ed isolazioniste assunte, l’uscita degli Usa dal Global Compact sull’accoglienza ai migranti e la costruzione del muro al confine con il Messico, la difesa ad oltranza della lobby delle armi a fronte di un allarmante incremento delle stragi perfino nei campus universitari, la disdetta degli accordi di Parigi del 2015 sulla riduzione delle emissioni inquinanti voluta da Obama e firmata da 195 Paesi.
L’elenco dei suoi “no” è lungo. No alla Nato (“all’America costa troppo, spendiamo miliardi di dollari per aiutare gli altri paesi”), no alla Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco) che accusa di essere “contro Israele”, no al piano di sviluppo nucleare dell’Iran. Senza dimenticare il preoccupante braccio di ferro con il leader della Corea del Nord Kim-Jong-Un, la guerra dei dazi contro la Cina che rischia di squilibrare il commercio mondiale e il sospetto di aver fatto (e vinto) la campagna elettorale contro Hillary Clinton con l’aiuto di Vladimir Putin, l’avversario di oggi.
Nel 2016 Trump diceva che “Putin è un vero leader, ha il controllo sul suo Paese e se verrò eletto alla Casa Bianca avrò relazioni molto buone con lui”. E la Clinton rispondeva che “le dichiarazioni di Trump sono antipatriottiche e offensive per gli americani”. Chi aveva ragione? In democrazia il popolo sovrano fa la sua scelta e sappiamo come è andata. Ma i venti di guerra in Siria rischiano di incendiare l’Europa e il Medioriente. Trump ha il sostegno di Londra e Parigi che hanno partecipato ai raid e di Ankara che plaude all’iniziativa, la Russia sta con il dittatore siriano Assad sostenuto dall’ayatollah iraniano Khamenei.
Prevalgono gli egoismi armati, le azioni forti. La via negoziale e diplomatica è fuori moda. Non meno isolazionista di Trump sono la signora May che gestisce la Brexit con mano ferrea accentuando le distanze dall’Europa unita e il francese Macron che respinge i migranti sugli scogli di Ventimiglia. Entrambi accusati in patria di non aver interpellato preventivamente i rispettivi Parlamenti. Dopo i missili su Damasco la tensione nel Consiglio di sicurezza convocato su richiesta russa è salita alle stelle. Il patriarca di Mosca Kirill, primate della Chiesa ortodossa, ha chiamato il papa e i rappresentanti delle chiese cristiane per “fermare lo spargimento di sangue”.
L’uomo della strada, si diceva, pensa che si sta scherzando col fuoco. Sui giornali legge cose da fantascienza. Il Regno Unito ora teme che i russi abbiano sottomarini in grado di tagliare i cavi di Internet sui fondali, un’azione che piegherebbe il Paese in poche ore. Roba che neppure la fantasia di Ian Fleming ci sarebbe arrivata. E l’America si aspetta una controffensiva di disinformazione informatica dei russi sotto forma di fake news e di un esercito di “troll”, agitatori che mascherandosi dietro false identità, infiammino e influenzino i dibattiti online portandoli verso tesi predefinite, come già avvenuto tra il 2015 e il 2018 in occasione di consultazioni elettorali in Occidente.
Per fortuna, rileva infine l’ingenuo uomo della strada, c’è anche un esercito pacifista. Papa Francesco fa appello alla comunità internazionale affinché promuova subito “un’azione comune per la pace”. La città di Assisi si candida come sede in cui gli Stati possano cercare una possibile mediazione. Il premier italiano Paolo Gentiloni, preoccupato che il conflitto subisca un’escalation, non ha fornito le basi aeree alla missione in Siria e preme perché “riparta al più presto il negoziato a Ginevra”. Sulla stessa lunghezza d’onda è il cancelliere tedesco Angela Merkel che, pur condividendo la condanna dell’uso delle armi chimiche, ha scelto di non partecipare all’intervento militare.
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