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Opinioni

RARI NANTES

ROBI RONZA - 20/04/2018

la presentazione delle liste di Noi con l’Italia con Raffaele Cattaneo

la presentazione delle liste di Noi con l’Italia con Raffaele Cattaneo

“Come un’esperienza di comunione vissuta in modo esistenzialmente e socialmente denso può comporsi con l’intrecciarsi dentro la comunità di giudizi e di scelte politiche diverse?”: a questa domanda, che ponevo nel mio Cl e la politica: qualche riflessione a una settimana dalle elezioni del 4 marzo e a 64 anni dalla nascita del Movimento, non sembra siano sin qui venute delle risposte adeguate ed esaurienti. Continua insomma a restare irrisolto un problema ormai aperto da decenni: da quando cioè, con la fine della Guerra fredda, venne meno la convergenza nella Democrazia Cristiana richiesta dalla Chiesa ai cattolici in Italia.

Era una risposta equivoca la storica scorciatoia dell’alternativa tra la scelta “subacquea” preferenziale per una certa posizione e la tolleranza per le altre, il cui più recente episodio fu la vicenda del voto al referendum popolare sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi. Più o meno lo stesso si può però dire della scelta di porsi soltanto come un soggetto che guarda dall’esterno alla scena politica osservandola con un atteggiamento benevolo ma equidistante. Ha senso in quanto punto da cui partire, ma non può perciò essere una condizione definitiva e permanente.  Posizionarsi con grande cura sulla linea di partenza, e poi restarvi immobili per tutta la durata della gara lanciando grida di incoraggiamento ai migliori in corsa ci pare una scelta magari nobile, e certamente di grande conforto  per gli altri concorrenti, ma non molto brillante. Si tratta piuttosto di impegnarsi con pazienza, con tutto il tempo necessario, in un’operazione più complessa come quella che Francesco Botturi delinea nel suo Cl e la politica dopo tutto quello che è successo: le cinque evidenze di Francesco Botturi.

Come con sollievo osserva Botturi, è ormai finalmente chiaro che la comunità cristiana non ha il compito “di fare il supporter e l’organizzatrice della politica professionale in cui convogliare i fedeli”. Quelli che, come lui e come me, venivano un tempo criticati appunto perché non condividevano mobilitazioni del genere non possono che essere lieti di questa sopravvenuta presa di coscienza. A valle di tale traguardo positivamente raggiunto resta però intatta la domanda: allora che cosa ce ne facciamo dei nostri amici che si impegnano nella politica nonché in genere dei politici cristiani?

Alla ricerca di una risposta ricordo di nuovo che a mio avviso si possono bene prendere le mosse da quanto don Giussani dice sul rapporto tra Cl e politica nel suo libro-intervista Il movimento di Comunione e Liberazione, pubblicato dapprima da Jaca Book nel 1975 e poi nel 1986, e ripubblicato in BUR/saggi nel 2014 con prefazione di Julián Carrón. All’argomento sono tra l’altro specificamente dedicate diverse pagine (pag. 152-159 nell’edizione BUR/saggi). Di queste pagine riprendo qui alcuni passaggi solo come stimolo e suggerimento ad andarsele a leggere per intero. Don Giussani aveva una grande capacità di porre via via l’accento su quanto nella circostanza gli stava a cuore senza lasciare però in ombra l’orizzonte complessivo del suo ragionamento; una qualità che le singole citazioni possono talvolta compromettere.

In quelle pagine don Giussani osserva innanzitutto “che il primo livello di incidenza politica di una comunità cristiana viva è la sua stessa esistenza” che “presuppone una gestione autenticamente democratica del potere pubblico e della realtà politica e statuale in cui si situa” e implica il riconoscimento del diritto di tale libertà non certo ai cristiani soltanto ma a tutti. Venendo poi al rapporto tra la comunità e i singoli cristiani impegnati in campo politico egli continua osservando  che quando “dalla fase della sollecitazione e dell’animazione politico-culturale si giunge a quella della militanza politica vera e propria, non è più la comunità in quanto tale a impegnarsi, ma sono le singole persone che a responsabilità propria (…) si impegnano alla ricerca di strumenti ulteriori di incidenza politica” (…). “Qual è tuttavia il criterio con cui la base di CL guarderà alle loro iniziative? Certamente con la simpatia caratteristica  di chi non può non condividerne l’ispirazione”. Ciononostante, dice poco più avanti don Giussani “C’è fra tutti noi in quanto CL, e i nostri amici impegnati nel Movimento Popolare e nella DC, un’irrevocabile distanza critica”. Qualcosa che ovviamente, scomparso il Movimento Popolare e scomparsa la DC, nelle nuove circostanze vale anche oggi. Stando così le cose, qual è il punto di equilibrio tra la «simpatia caratteristica» e la «irrevocabile distanza critica»? Questo è il problema.

“La militanza politica delle persone che aderiscono a CL, e tutte le singole scelte che ne derivano”, dice ancora don Giussani, “sono frutto di un giudizio e di una responsabilità eminentemente personali”. Tuttavia quella simpatia caratteristica di cui si diceva  “moltiplicherà l’adesione attiva della gente di CL agli strumenti di azione politica” dei loro amici impegnati nella vita pubblica. In tempo poi di elezioni “per tutti i militanti di CL  sarà naturale, e direi quasi istintivo il rivolgersi a privilegiare quei candidati (…) che sono essi pure del movimento”.

Chiarito il quadro,  è poi subito giusto aggiungere che di fatto nel passato  si andò ben oltre quanto tale simpatia giustificava. La stessa macchina organizzativa di CL veniva messa al servizio del sostegno ai candidati e della raccolta dei voti di preferenza con tutte le inevitabili distorsioni che ne derivavano. La prima e più importante vittima di tale involuzione fu lo stesso Movimento Popolare. Originariamente immaginato come un movimento culturale e sociale da cui si generava anche una domanda e una presenza politica, l’MP venne invece rapidamente avvilito e  ridotto a una “corrente” della DC.  A una presunta concretezza, che era in realtà una perenne smania di risultati di corto respiro, venne largamente sacrificato quel lavoro nella società e nella cultura che alla gente di CL impegnata in politica avrebbe consentito di avere  ben altro e ben più positivo influsso sulla scena politica nazionale. Per inciso osserviamo che fu invece forte e positivo, anche se per definizione insufficiente alla scala nazionale, l’influsso in Lombardia. A mio avviso non ha senso tuttavia “esorcizzare”  le passate distorsioni di cui si diceva, pur se furono assai rilevanti, con una reazione uguale e contraria che attiene più alle leggi della psicologia sociale che al proprium della comunione.

Oggi le persone “di Cl” che rivestono cariche pubbliche sono più che mai, come direbbe il poeta, dei “rari nantes in gurgite vasto “. Si ha notizia di  un’ assemblea post-elettorale —  che ha avuto luogo a Milano lo scorso 17 marzo — di Noi con l’Italia/Ncc, la più recente delle sigle con cui la maggior parte di loro  si è presentata alle ultime elezioni. “La nostra proposta moderata e di centro è stata bocciata. Non abbiamo superato la soglia del 3%, ci siamo fermati all’1,2%, ottenendo 423.298 voti su tutto lo Stivale”, ha francamente riconosciuto Matteo Forte nella relazione introduttiva all’incontro. “Possiamo non disperdere il patrimonio di esperienze e voti personali, che ancora siamo capaci di raccogliere”, ha però continuato, “se chiariamo chi siamo e dove vogliamo andare”. In tale prospettiva ha lanciato la proposta di una ricostruzione della loro presenza politica nel segno di un programma di matrice liberal-popolare. La sproporzione tra l’entità della posta in gioco e le loro forze è evidente, ma non sarebbe fraterno fare come se non ci fossero.

Frattanto resta urgente, come sottolinea Botturi, la grande responsabilità che, come ogni altra comunità cristiana, Cl ha di “tener desta la coscienza del politico come di tutte le dimensioni fondamentali dell’umano (…). La comunità cristiana ha il compito di istruire sul significato cristiano della politica (come della famiglia, dell’educazione, ecc), di aiutare il lavoro culturale necessario per essere vigili e attivi nel proprio stato di vita civile e di spingere all’iniziativa solidale in proposito, con equilibrio ma anche con decisione e libertà di giudizio”. Ci sono oggi luoghi in cui tale processo può svolgersi autenticamente e non solo in modo rituale? Senza alcuna acredine, ma solo con dispiacimento, devo dire che la risposta è no.

Viceversa un grosso lavoro di riflessione s’impone come conditio sine qua non per una presenza pubblica che non voglia finire, anche involontariamente, per essere subalterna a qualsiasi ordine costituito. In un  mondo sempre più unificato dalla tecnostruttura, continua Botturi, “i poteri reali sono dislocati in modo molto diverso, tanto che la politica tradizionale e “partitica” spesso non riesce a governarli appunto perché globali. Ma se il potere politico non è in grado di governare la maggior parte dei poteri reali, l’apparato politico diventa una macchina che gira a basso regime e che si occupa sempre più di se stessa e sempre meno della realtà (…)”. Occorre pertanto molto lavoro culturale per capire in che mondo viviamo e che cosa c’è di inedito, quali risorse, quali ostacoli, quali forme politiche possono non battere l’aria. C’è da capire se è ancora il tempo dei partiti, quali e dove sono i reali poteri, quali i luoghi sensibili della convivenza, dove l’umano è veramente in gioco e così via”. C’è poi da riflettere su buone esperienze sociali ed economiche in atto in sede sia nazionale che internazionale per renderle più visibili e più proponibili quali modelli riproducibili e validi per tutti. Tanto più se avesse una buona capacità di comunicazione al pubblico, nel clima di generale disorientamento in cui oggi viviamo un’opera del genere già di per sé sarebbe un evento politico rilevante.

www.robironza.wordpress.com

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