Parto non dalla Palestina, né da Salisburgo, ma dal ricordo personale del 2013 di un aereo che atterra a Port-au-Prince, Haiti, rasentando chilometri di baracche di rami e metallo, costruite su spazzatura e scarichi fognari. In esse un milione di persone. Fuori dall’aeroporto è subito degrado, bruttezza indicibile: inquinamento, spazzatura ovunque, roghi di spazzatura ovunque, una umanità caldamente disperata. Bambini barcollanti che questuano. Persone sdraiate a bere i rigagnoli dei marciapiedi. Viene subito in mente di ripulire, raddrizzare, filtrare, colorare, ordinare: perché si associa il regno di Dio a un mondo ordinato, in equilibrio, dove tutti si rispettano, stanno al loro posto, si lavano i denti, i bambini vanno a scuola, i genitori stanno in famiglie armoniosamente unite, regna ordine che è appunto estetica, bellezza. Nella cloaca di Port-au-Prince il credente istintivamente chiede: come può Dio abitare in tanta bruttezza? Dio istintivamente chiede: come posso abitare altrove? Il credente simpatizza con l’eroismo un po’ eccessivo di Dio, si sente investito del sacro compito di aiutarlo, surrogarlo anche, se è ancora incline a estremismi crocefissi, mettere mano in suo nome a un’opera di abbellimento, confinare Dio negli spazi più belli. Abbellire: apparentemente umano, lo è realmente? Il Padre chiede all’uomo di abbellire? La bellezza che noi intendiamo portare è la bellezza secondo il Signore?
Inevitabilmente, l’occhio dell’uomo associa Dio alla bellezza, cerca di comunicare Dio con la bellezza. La bellezza esteriore, estetica, è perseguita dal credente come un valore che rimanda a un altro valore. Si ritiene che Dio parli (anche) attraverso i canoni della bellezza umana: Dio parlerebbe all’uomo attraverso una bella chiesa, una strada pulita, e il Requiem di Mozart. Può darsi. Superando i tabù, si arriva fino a confondere Dio con la bellezza (“la bellezza ci salverà”: sulla carta idolatrico, ma Dostoevsky non intendeva questo).
Socialmente, Gesù, specialmente il Gesù di Luca, identifica la bellezza con la povertà, lo stomaco materialmente vuoto: “Beati (belli) voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati (belli) voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati (belli) voi che ora piangete, perché riderete”. LC 6, 20-21). La bellezza per Dio è questa. Non c’entra molto con le cattedrali fatte di architettura, pittura, musica, design. Il Gesù di Matteo, meno etico e più spirituale, va oltre il materiale: “Beati i poveri in spirito… (Mt 5,3): oggi diremmo belli i poveri in spirito, per usare un vocabolario comprensibile dalla nostra cultura post rinascimentale, estetizzante.
Haiti, come tutti i luoghi abitati dall’uomo, è la prova vivente che la bellezza secondo Dio non è la bellezza secondo l’uomo. “(…) era ancora lontano (brutto), suo padre lo vide, ebbe compassione (lo vide bello), gli corse incontro…” (LC 15, 20). L’amore di Dio arriva davvero ovunque: anche nell’isola della Gonave, terra dimenticata di grande fame e sete, dove opera la mia piccola missione. Anche qui, Gesù dimostra ancora e ancora che l’uomo stesso è l’amore di Dio, il bello per Dio, il tempio di Dio: a priori qualunque uomo, ogni pecora vagante; a posteriori, l’uomo che ama, dunque crede: l’uomo proprietà di Dio, contrapposto a quelli che “via, lontano da me, maledetti …” (La bruttezza definitiva: Mt 25, 41). Dio è bellezza: “Colui che ha fatto l’esterno (l’esteriorità, la bellezza convenzionale) non ha forse fatto anche l’interno (il tempio, il luogo della vera bellezza o bruttezza)? (Lc 11, 40). La bellezza per Dio è “piuttosto (di) coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”. (Lc 11, 28).
Vivendo a Haiti, uno dei posti più brutti al mondo, ho iniziato a vedere che la bellezza vera è al contrario: è la bellezza della croce, non quella di Armani. È la bellezza che Dio vede nell’uomo imperfetto, in cerca di redenzione. Guardiamo dove sta davvero la bellezza, per Dio. Sta nel cuore umano, alla Gonave come in via Montenapoleone. Sta solo lì. Se c’è. Dio la vede dove a noi pare non ci sia nulla. “Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli…” (Mc 12, 42). “Tu non mi hai dato un bacio. Lei invece …”. (Lc 7, 45). “…presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande” (Mt 8, 10).
Gesù ci ha mostrato in mille gesti il suo gusto per le persone: gusto per il dialogo, gusto per far loro domande, gusto per far loro scoprire di conoscere le risposte. Senza preclusioni, senza punti di dottrina. La bellezza religiosa, da sola, questo non riesce a farlo.
Haiti è anche a Milano, a Varese. La fatica di vivere non è affatto una prerogativa di questo o quel popolo. Il fatto che io mi trovi a costruire acquedotti e ambulatori è un dono speciale che mi è stato fatto, fra miliardi possibili. Qui imparo che a Dio piace, trova bello, l’essere umano nudo e crudo, ovunque si trovi, mentre soffre, mentre si dona, nella vita normale, generalmente fuori dalle enclave religiose, generalmente fuori dai recinti confessionali. Nei quali si rischia di perseguire una bellezza formale e rituale che parla di sé più che di Dio. Poiché all’uomo interessano le parole di vita, che non percepisce nei luoghi religiosi, né nelle persone che si dicono credenti, è soltanto giusto che l’uomo moderno preferisca restare là dove di Dio non si parla, nella propria sofferenza di uomo, libero almeno dal lievito dei farisei. Finché qualcuno tornerà a riconoscere la bellezza umana che c’è in lui, che è la stessa di Dio.
Janusz Gawronski, dall’isola della Gonave, Haiti
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