L’indicatore anticipatore dell’Istat a marzo evidenzia come la congiuntura resti positiva, ma in decelerazione: calo della produzione industriale a Gennaio ma, secondo il Sole 24 ore cresce il fatturato delle imprese.
Secondo gli economisti di Libero, invece l’economia si sveglia nonostante la politica dorma.
Quello che è certo è che predomina un clima di grande incertezza, e le risultanze del meeting Ambrosetti, non appena “decriptate” temo che lo confermeranno. I freddi numeri con cui si analizzano domanda interna e situazione economica generale alla fine del primo trimestre 2018 sono risultati meno favorevoli che nei trimestri precedenti; quindi, incertezza.
Quanto tutto ciò continua ad essere “coda” di una crisi ormai decennale e quanto invece è riconducibile all’andamento politico in Italia?
Temo molto, perché non possiamo continuare a giustificare con la fragilità del nostro sistema economico il divario con gli altri Paesi della Unione Europea.
La fragilità del nostro sistema economico non è la causa del perdurare della crisi e delle continue altalene andamentali e occupazionali, ma è piuttosto l’effetto di una totale ultraventennale latitanza della politica italiana da uno dei suoi compiti primari, e cioè la definizione di linee di politica economica.
In Italia, credo da oltre trenta anni, non sono state tracciate linee di indirizzo economico cui le imprese potessero rifarsi per orientare i propri programmi, sapere su quali risorse ed interventi pubblici poter contare e quindi produrre in funzione della crescita economica nazionale ed il benessere della popolazione.
Non cerchiamo facili giustificazioni nell’incertezza del quadro politico. Non siamo né la prima né l’ultima nazione a dover fare i conti al proprio interno per formare una maggioranza e un Governo; dopo di che, però tutti al lavoro.
In Italia non ha funzionato così.
Leggi sbagliate; provvedimenti da eterna campagna elettorale; salvataggi costosissimi, e non solo di banche o di ex aziende pubbliche.
Ma mai, dico mai, almeno negli ultimi trenta anni, se non di più, uno straccio di linea di indirizzo.
“L’Italia vuole diventare il Paese dove si produce (o si fa o si organizza); il migliore… del mondo. Per chi orienta la propria attività in tale direzione ci saranno: A;B;C…”.
Sarebbe musica per le orecchie degli imprenditori. Sarebbe musica per le orecchie dei lavoratori, delle famiglie e dei pensionati, perché tutto ciò si tradurrebbe in una parola sola, e per giunta italiana: benessere.
Quindi il ruolo della politica è assolutamente strategico, il problema è che pare che ai “nobili cultori della politica” la parola pragmatismo provochi allergia, e ciò perché i risultati delle azioni pragmatiche si possono pesare e misurare.
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