Una volta s’irrideva alla virtù mediatrice della Democrazia cristiana. Oggi la si rimpiange. I nuovi leader che han vinto le elezioni, Di Maio e Salvini, non riescono a trovare un’intesa, né altre sembrano possibili, con Berlusconi e Renzi ai margini del gioco trattativista. Di qui la paralisi, ormai d’un mese e mezzo. Un primo giro di consultazioni, un secondo giro di consultazioni e il pronosticato verdetto biblico: nihil novi sub sole. Mattarella ha pazienza, ma il tempo che passa non può diventare eterno. Dunque una soluzione all’impasse va trovata.
Difficile, per non dire impensabile, che si progetti il ritorno elettorale estivo. E’ in programma un importante vertice europeo alla fine di giugno, l’Italia non vi si può presentare senza un premier pienamente investito del ruolo. Dunque il capo dello Stato ragionerà semplice semplice con i due galli del cortile populista: o vi accordate e mi date garanzia d’avere i numeri parlamentari per ricevere l’incarico oppure ditemi che devo fare. Ovvero, da ex scudocrociato di consumata esperienza: non sarà lui a proporre un governo del presidente, toccherà al tandem baldanzoso, incapace di trovare una praticabile entente, chiedergli d’allestirlo.
Non sarebbe una bestemmia. Gli esecutivi tecnici li abbiamo già sperimentati e, al netto del solito/retorico disfattismo, i risultati sono stati accettabili, quando non lusinghieri. Per esempio: fece bene Ciampi, fece altrettanto bene Monti. E pure quando si dovette ricorrere a una terza figura politica di compromesso, la nave seppe seguire una prudente rotta. Fu il caso di Spadolini, che s’insediò a Palazzo Chigi con appena il tre per cento dei voti.
Mattarella è un conoscitore antico di tali situazioni, e non sarà preso alla sprovvista dall’eventuale resa di Salvini e Di Maio. Sceglierà una personalità super partes, le affiancherà specialisti di differenti aree politiche, e con un programma minimo manderà la squadra davanti alle Camere per ottenerne la fiducia. Programma minimo vuol dire ritocco in senso maggioritario della legge elettorale, preparazione della finanziaria da approvare entro dicembre, controllo delle emergenze sociali, rispetto degl’impegni già assunti con l’Ue. Nessuno avrà la forza di dire di no, dopo non avere avuto il coraggio delle rinunzie necessarie per dire di sì ai possibili partner di un’alleanza di legislatura.
Quanto sta accadendo non è solo colpa del sistema a prevalenza proporzionale, che consente/favorisce accordi dopo il voto anziché prima. E’ colpa di visioni politiche incentrate sull’egoismo di fazione anziché sugl’interessi generali del Paese. Di questi son zeppe le dichiarazioni di principio d’ogni giorno, ma è vuoto il carnet propositivo d’ogni partito. Molti e insistiti i veti, nessun cenno a passi indietro. Manca, appunto, la capacità mediatrice. Appartiene a un milieu culturale che possiamo (purtroppo) dare per scomparso. Chi non voleva morire democristiano, ha nostalgia delle mille vite di cui i democristiani furono capaci, assicurando al Paese la continuità istituzionale oggi messa a rischio.
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