Angelo Castiglioni ha concluso la sesta edizione del Caffè degli Alpini, iniziativa che ha visto interventi di grande rilievo, accomunati dal leit motiv del colore, declinato nelle sue sfaccettature artistiche, culturali, sociali con protagonisti di rilievo, Rosita Missoni, regina delle righe multicolori nei capi d’abbigliamento, Marcello Morandini, designer, che crea volumi e spazi usando il bianco e il nero il generale degli Alpini Battisti, relatore delle atrocità della guerra, ‘rossa di sangue’, la giornalista Rosa Teruzzi, cronista di ‘nera’.
L’ultimo incontro affascina sia per l’oggetto della relazione- l’Africa – con la sua terra rossa e i colori sgargianti della vegetazione -, sia per il carisma umano e scientifico del relatore, esploratore antropologo etnografo archeologo, fondatore col gemello Alfredo dell’associazione Ce.R.D.O. -Centro Ricerche sul Deserto Orientale-Africano e membro del Sudan Archaeological Research e dell’ IICE, l’Istituto italiano per la civiltà egizia.
Il legame di Angelo con Varese è di lunga data: quarant’anni fa inaugurò il primo Museo Etnografico, attiguo al Castello di Masnago, con una ricca collezione di oggetti e immagini appartenenti alle culture africane, a gruppi etnici ignoti al mondo occidentale, raccolti insieme col fratello gemello Alfredo, nel corso di viaggi di studio e di esplorazione iniziati nel 1959, al termine delle scuole superiori; e tre anni fa ha inaugurato la nuova edizione del Museo, nella dependance di Villa Toeplitz.
Angelo, appassionato di etno-antropologia, ha coniugato lo studio della storia con la ricerca sul campo, con la volontà di trovare riscontro alle ‘testimonianze’ di quanto aveva letto sui testi di Erodoto e di Plinio il vecchio; l’obiettivo era di ripetere, novello Schliemann, la scoperta di un’altra ‘Ilio’ nel continente africano.
L’amore per l’avventura ha scandito per 60 anni una vita vissuta in simbiosi col continente ‘Nero’- a partire dal primo viaggio in Vespa col gemello Alfredo; dopo l’iniziale Liguria, Gibilterra e l’Africa… e rientro dopo tre mesi dopo essersi spinti fin nel golfo del Leone e aver attraversato il deserto del Sahara arricchiti da migliaia di diapositive e registrazioni-. La passione per quel paese vero, autentico, allora privo di omologazioni culturali, è stata poi la molla determinante di altri viaggi, esplorazioni, di studi dettagliati di gruppi etnici- ora scomparsi- per immortalarne la cultura, i riti, i costumi sociali, l’alimentazione, le usanze e le pratiche legate alla nascita al matrimonio alla morte, tutte profondamente diverse dalle nostre e tutte profondamente umane e perciò affascinanti.
I Castiglioni furono protagonisti del momento di passaggio che si verificò a partire dagli anni ’60 con la decolonizzazione e la penetrazione culturale forzata di usi e costumi occidentali; in un incontro a Dakar, -ricorda Angelo- Senghor, illuminato presidente del Senegal, poeta e primo Accademico di Francia di colore, ci disse accoratamente ‘andate con le vostre macchine fotografiche, con i vostri registratori a documentare la vita nei villaggi più sperduti, a filmare la vita degli anziani titolari di un sapere che è nella loro mente perché quando questi uomini moriranno, tutto il sapere orale che detengono e di cui sono depositari, finirà e sarà come se tutte le biblioteche del mondo occidentale venissero bruciate’.
‘I gemelli Castiglioni’ diventano un punto di riferimento per i governi indigeni per lo studio e la conservazione della cultura tradizionale e dei valori che essa esprimeva.
Angelo dichiara: ‘ Nel mondo tribale io ho imparato il rispetto per gli anziani, considerate vere icone del sapere, biblioteche viventi, i cui consigli erano apprezzati e ascoltati dai giovani nei villaggi, che erano garanti nel quotidiano di un aiuto reciproco di collaborazione nei lavori e di condivisione delle emozioni e dei sentimenti di ciascun membro del gruppo.’
Quando il processo di penetrazione culturale europea snatura i costumi tribali, con la scomparsa delle culture millenarie scompare il terreno di studio dei Castiglioni, che, ammalati di ‘mal d’Africa’, decidono di cambiare e dal campo etno-antropologico si spostano in campo archeologico; diventa oggetto d’indagine non quello che è, ma quello che è stato, di cui cercano ‘le tracce d’esistenza’. Nelle nuove spedizioni nulla è lasciato al caso se non quel ‘quid’ imponderabile: la fortuna che permette di trovare testimonianze per molto tempo invano rincorse lungo una via percorsa, perché gli studi l’hanno suggerita, centinaia di volte, senza mai trovare nulla; poi di colpo il miracolo del vento: il ghibli che solleva la sabbia e come ha cancellato, così scopre le cose e fa cadere il velo che copriva da secoli quello che era con chiarezza indicato nei testi e il tempo aveva sepolto e conservato perfettamente.
Vengono alla luce i resti di una carovana Targhi morta di sete nel deserto, e nel 1989 avviene il ritrovamento nel deserto egiziano, dell’antica città mineraria di Berenice Panchrysos, citata da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia ‘una delle grandi scoperte dell’archeologia contemporanea’. La citazione della terra di Amu nella ‘lista delle miniere’ che il faraone Ramesse II fece scrivere nel tempio di Luxor, spinge a una spedizione, che si conclude col ritrovamento delle antiche miniere d’oro, sfruttate dai Faraoni.
Spinto da una sete di sapere che accomuna all’Ulisse peregrinante nel Mediterraneo, ‘per seguir virtude e canoscenza’ sempre in tandem con Alfredo, Angelo attraversa il deserto libico in cerca del ‘vetro delle stelle’; è spinto dalla volontà di trovare le prove che lo scarabeo -khepri- incastonato nel pettorale del faraone Tutankamon, ha origine celeste, o com’è scritto negli antichi testi, è ‘vetro delle stelle’; nel 1996 la spedizione nel deserto sulle orme del LDSG, Lybian Desert Silica Glass, vetro presumibilmente originatosi dalla fusione, avvenuta ad elevatissima temperatura, tra un frammento di cometa entrato nell’atmosfera terrestre oltre 28 milioni di anni fa, col quarzo contenuto nella sabbia creando con l’impatto una sostanza naturale con il 98 per cento di silice, il ‘vetro delle stelle’ o ‘silica glass’ trovato in alcuni massi nel deserto.
Sulle tracce di quanto scritto da Erodoto nelle “Storie” si compie la ricerca dell’Armata perduta di Cambise II scomparsa tra il 529 e il 522 a.C.; i risultati non mancano: nel 1997 affiorano nel deserto Egiziano, dopo una tempesta di sabbia, un gran numero di ossa umane e di reperti riferibili agli Achemenidi; l’area è ben circoscritta ed è lungo il percorso che l’Armata perduta avrebbe dovuto seguire.
La mappatura del territorio insieme ad indagini sempre più sofisticate e all’uso delle piante satellitari, permettono di individuare la pista percorsa dalle armate dei Faraoni alla conquista della Nubia; alla individuazione della pista dei pellegrini, percorse dalle carovane dei dromedari verso il Mar Rosso da parte dei fedeli islamici, all’individuazione della pista medievale verso la zona aurifera di Wawat, contrassegnata dagli ‘alamat’ le costruzioni di pietra erette per indicare la giusta direzione.
‘Nel 2010 i fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni trovarono per –una loro geniale- intuizione l’area di scavo, che a occhio nudo sembrava un semplice deserto’- scrive Serena Massa-, della città di Adulis: erano alla ricerca della mitica Terra di Punt citata in numerosi testi dell’Antico Egitto, risalente a quattromila anni fa e citata dagli egizi per il suo splendore e la sua ricchezza, nella cui area sorgeva appunto Adulis, crocevia di una rete commerciale di grande importanza, una sorta di via ‘della seta o dell’ambra’, perno tra Corno d’Africa penisola Arabica e paesi che si affacciano all’Oceano Indiano, uno dei più importanti porti del Mar Rosso in cui transitavano spezie e merci di lusso, avorio, gusci di tartaruga, perle e pietre preziose tanto che per gestire questi scambi il Regno di Axum, di cui faceva parte Adulis, fu il primo e unico dell’Africa subsahariana a coniare una moneta.
Dal 2011 gli scavi hanno per scopo riportare alla luce l’insediamento; i lavori sono portati avanti da un’equipe composita che testimonia il valore della scoperta dei Castiglioni: archeologi dell’Università Orientale di Napoli affiancate da architetti del Politecnico di Milano cui si sono aggiunte ultimamente gli archeologi del pontificio Istituto di archeologia cristiana, in seguito al ritrovamento eccezionale di una basilica paleocristiana realizzata sicuramente nella seconda metà del IV secolo che è la prova della espansione contemporanea della religione cristiana nel corno d’Africa all’epoca dell’editto di Costantino del 313 d.C.
Gli scavi tutt’ora in corso promettono di riportare alla luce molto materiale di questa novella Pompei eritrea, come prova la mostra ‘Adulis, la città perduta’ visitabile sino al 15 aprile al Museo Castiglioni a Villa Toeplitz.
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