La sopportazione non è una virtù teologale, bensì una virtù morale. Però è un’emanazione della carità: è amore che rende ancora sopportabile ciò che sarebbe insopportabile.
Chi non sopporta più una persona l’abbandona al suo destino, la scarica, la fa diventare uno scarto da gettare. Chi ama, invece, riesce ad esercitare l’opera di misericordia: “sopportare pazientemente le persone moleste”. “Manifesta una dose di eroismo tenace, di potenza contro qualsiasi potenza negativa, una opzione per il bene che niente può rovesciare”. (AL 118)
Chi ama sa trasformare il verbo “sopportare” nel verbo “supportare”, tenere su, aiutare, non lasciar cadere, rialzare, come ha fatto Gesù di fronte alle debolezze degli Apostoli. Gesù avrebbe “supportato” – cioè portato su con sè – anche il cattivo ladrone, se si fosse lasciato portare come ha fatto l’altro.
Non si può negare che nella sopportazione ci sia un aspetto faticoso, costoso, anche un po’ crocifiggente. Succede in famiglia come capita a chi opera nel campo caritativo, di essere esposto alla tentazione di scoraggiarsi, lasciandosi andare.
L’incerto confine tra la gioia e il dolore – esperienze all’ordine del giorno nella vita delle persone, delle famiglie, delle comunità – ci deve stimolare (anche alla luce della fede pasquale) a guardare con fiducia a Dio per cercare di vedere il mondo e di leggere la vita come lo vede e la valuta Lui.
In questo senso ci aiuta san Bonaventura, convinto che per “capire” bisogna interrogare la grazia, non la scienza – il desiderio, non la comprensione – la preghiera, non la lettura – l’innamorato, non il professore – le tenebre, non la luce – Dio, non l’uomo. È Dio, infatti, il fuoco che infiamma il cuore e immerge nel Mistero con l’estrema dolcezza e con il bruciante fervore della passione.
Nella sua seconda lettera a Timoteo (2,10) Paolo dice “tutto sopporto per amore degli eletti”. Anche una donna abbandonata dal marito (e viceversa) che non sparla di lui con i figli, sopporta il tradimento per non trasmettere sentimenti negativi ai figli che ama.
Un caso come questo ci dice quanto sia impegnativo l’amore cristiano. Lo annotava papa Benedetto in una delle catechesi fatte nell’Anno paolino, con riferimento a questo inno: “L’amore cristiano è quanto mai esigente poiché sgorga dall’amore totale di Cristo per noi: quell’amore che ci reclama, ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, sino a tormentarci, poiché costringe ciascuno a non vivere più per se stesso, chiuso nel proprio egoismo, ma per ‘Colui che è morto e risorto per noi’ (cfr 2 Cor 5,15)”.
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