Molti hanno pensato e hanno scritto che la riforma della pubblica amministrazione operata dal ministro Marianna Madia fosse stata fatta prevalentemente per soddisfare coloro che predicavano venissero istituite nuove forme di innovazione a vantaggio della collettività. Si pensava quindi che ci fosse solo un’esigenza elettoralistica e non altro.
Non è avvenuto questo: con la riforma cosiddetta Madia si sono raccolti i temi di un dibattito che era stato in attesa da otto anni. Non sto solo affrontando il tema del Freedom for information act. Il Ministro ha fatto in modo anche di far sì che la pubblica amministrazione fosse attrezzata a realizzare quanto previsto dalla Legge. Nel Ccnl del comparto Istruzione e ricerca è, infatti, stata inserita una specifica norma dedicata all’“Istituzione nuovi profili per le attività di comunicazione e informazione” (articolo 59).
Nell’atto di indirizzo per il contratto del comparto Funzioni centrali, il ministro Madia aveva invitato proprio l’Aran a ridefinire “specifici profili professionali per il personale addetto alle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni”. L’accordo ha riguardato circa 1 milione e 200mila dipendenti, mentre quello precedente ne interessava 270mila. Da segnalare che si tratta di una “prima volta” che evidenzia una nuova consapevolezza. Nella visione tradizionale la comunicazione pubblica veniva inevitabilmente intrecciata con quella politica e quindi era ritenuta necessaria soprattutto nelle attività dei ministeri e dei governi locali. Nella concezione più moderna della Pa, che si è affermata nell’ultimo decennio (perlomeno dal decreto 150/2009 del ministro Brunetta fino alla Riforma Madia 2015-2017), ad acquisire centralità è il cittadino, con i suoi bisogni e i suoi diritti: da qui l’amministrazione “digital first”, la spinta sull’open government, la trasparenza totale (il cosiddetto Foia italiano), la performance misurata con i cittadini. In questo scenario, sono proprio i settori a più forte impatto con le persone ad aver bisogno di un rilancio della comunicazione ispirato dalla cultura del servizio e alla citizen satisfaction e finalizzato all’effettiva realizzazione della trasparenza totale. Fra tali settori, spiccano quello dell’Istruzione, che comprende scuole e università, e quello sanitario.
Sembra quindi che anche in Italia ci sia resi conto che “il cittadino” non è un’entità astratta, ma una persona in carne e ossa che ha bisogno di informazioni e qualità del servizio anche e soprattutto quando si rivolge alla scuola frequentata da suo figlio o alla Ats cui affida la salute sua o di un suo caro.
Le parti riguardo lo specifico contenuto dell’articolo 59 del Ccnl del comparto Istruzione e ricerca, hanno voluto “una specifica area professionale ‘Informazione e comunicazione’. Le attività sono quindi – finalmente – viste in una cornice unitaria, così come del resto era auspicato sin dal 7 febbraio 2002. Infatti, all’indomani della 150/2000 e del regolamento attuativo 422/2001, il ministro Frattini, come ricorda il Sole 24ore, emanò una direttiva che si intitolava “Attività di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”, e indicava, riguardo alle strutture ex lege 150, l’obiettivo di “promuoverne il pieno raccordo operativo sotto forma di coordinamento e attraverso una adeguata struttura organizzativa”. “La comunicazione interna e la produzione di messaggi complessi verso l’esterno – si legge ancora nella direttiva – rappresentano momenti differenti della stessa funzione di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni, e pertanto richiedono un coordinamento che ne governi, con efficacia, le interazioni e le sinergie. Questa dimensione complessiva e integrata della comunicazione non può essere dimenticata né sottovalutata nell’attuazione della legge del 7 giugno 2000 n. 150”. In questa illuminata (e purtroppo largamente ignorata) direttiva, si individuavano inoltre traguardi molto avanzati, che invece erano trascurati dalla 150. Le amministrazioni devono: “1. Garantire un’informazione trasparente ed esauriente sul loro operato; 2. pubblicizzare e consentire l’accesso ai servizi promuovendo nuove relazioni con i cittadini; 3. ottimizzare l’efficienza e l’efficacia dei prodotti-servizi attraverso un adeguato sistema di comunicazione interna”. E infine si parlava anche di (…) profili professionali: “L’individuazione e la regolamentazione delle tipologie professionali… sono affidate alla contrattazione collettiva con le organizzazioni sindacali rappresentative sul territorio nazionale delle categorie professionali”. Si può quindi dire che se la Ministra Madia, riaprendo la contrattazione pubblica, ha interrotto un “silenzio” di 8 anni, sul piano della comunicazione, ne ha interrotto uno di ben 15 anni.
Dopo aver fissato la novità della struttura unitaria, l’articolo 59 indica i “contenuti professionali” dell’area Comunicazione e informazione: soprattutto, attenzione ai bisogni dell’utenza. Sono menzionati:
a) gestione e coordinamento dei processi di comunicazione e informazione esterna e interna in relazione ai fabbisogni dell’utenza e agli obiettivi dell’amministrazione; b) definizione di procedure interne per la comunicazione istituzionale; c) raccordo dei processi di gestione dei siti internet, nell’ottica dell’attuazione delle disposizioni in materia di trasparenza e della comunicazione esterna dei servizi erogati dall’amministrazione e del loro funzionamento; d) promozione e cura dei collegamenti con gli organi di informazione; e) individuazione e/o implementazione di soluzioni innovative e di strumenti che possano garantire la costante e aggiornata informazione sull’attività istituzionale dell’amministrazione; f) gestione degli eventi, dell’accesso civico e delle consultazioni pubbliche. Poi, come nell’articolo 95 del Ccnl Funzioni centrali, c’è un rimando a “ulteriori approfondimenti (…) anche in relazione alle modalità specifiche di adesione alle casse previdenziali e di assistenza dei giornalisti, alla definizione dei percorsi formativi, ad eventuali e specifiche modalità di articolazione dell’orario di lavoro”. Come si può vedere, si tratta di un inquadramento delle attività comunicative-informative di segno totalmente nuovo sia nelle funzioni (fra cui spiccano trasparenza totale e richiamo ai social), sia nel coordinamento, dove ritorna prevalente un’intuizione che risale al 2002, ma che non è stata quasi mai tradotta in concreti comportamenti organizzativi. Intanto, il profilo del nuovo “Giornalista pubblico” deve ora trovare spazio in atti di indirizzo organizzativo del ministero Pa e naturalmente nel lavoro della commissione sulle classificazioni fermamente professionali, i cui compiti sono descritti all’articolo 12 del Ccnl Funzioni centrali. La commissione vedrà seduta al tavolo la Fnsi e dovrebbe sperabilmente concludere i lavori al più presto.
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