C’è tensione in Catalogna? Tensione politica, s’intende. In Catalogna e nella sua bellissima e straordinaria capitale – Barcellona –, da sempre meta di visitatori e di turisti, molto spesso traguardo anche di scolaresche.
La risposta è sì. E la tensione – che poi altro non si differenzia da un rapporto conflittuale con la non accettata patria a guida madridista e monarchica – è interamente caratterizzata dalla richiesta di autonomia (un’autonomia senza condizioni) che si respira nella regione catalana, tuttavia già abbastanza tutelata con un suo parlamento, dotata di una lingua antica e diversa dallo spagnolo castigliano, abitata da un cinquanta per cento (e forse anche di più) di popolazione tenacemente indipendentista.
Ma non se ne parla sempre in un tumultuoso crescendo. Anche i nostri giornali – ed è presumibile che lo stesso sentimento alberghi tra gli spagnoli-spagnoli e gli spagnoli-catalani a volte stanchi d’esserlo in servizio permanente effettivo – toccano l’argomento un po’ a sprazzi. In prima pagina nel momento in cui si registrano manifestazioni ustionanti, poi via via con il passare dei giorni – anche di pochi giorni – nelle pagine interne, fino a scomparire del tutto in concomitanza con altre notizie più “seguite”. A partire, per quanto è noto nei giornali italiani, dalle nostre scarsamente conclusive elezioni interne, dove s’è registrata per altro la vittoria di un paio di partiti-movimento che, fino a qualche tempo fa, prendevano la Catalogna come modello politico, per continuare con la scomparsa di importanti personaggi dello spettacolo e con la disputa di derby calcistici importanti. Insomma, le storie si scacciano l’una con l’altra, e non ne esiste nessuna che va bene per tutte le stagioni. La politica e la “solidarietà” con la Catalogna, in altri momenti indispensabile, passano un po’ in seconda linea.
Non è una grandiosa novità. Dopo le elezioni di qualche mese fa nella regione catalana, vinte in una maggioranza molto relativa di votanti da una folta maggioranza indipendentista, le cose erano quasi tornate a un quotidiano tran tran. Cioè, beninteso, con i capintesta della “autonomia” arrestati e in carcere per sedizione. Con il leader – Carles Puigdemont – in esilio in Belgio e nei Paesi Bassi, probabilmente per non finire anch’egli dietro le sbarre e in attesa di un processo, ma discretamente controllato. Con le grandi aziende presenti in Catalogna che – per non sapere né leggere né scrivere ma al solito ben guadagnare – avevano spostato lontano da Barcellona, e in territori più stabili, le loro sedi legali. Non tutte, a quel che si sa e nonostante il ridimensionamento della fuga, sono ritornate all’ovile.
Sicché la tensione è riesplosa nel momento in cui, un paio di settimane fa, Puidgdemont, sul quale pendeva un ordine di cattura europeo emesso dalla Spagna, è stato “prelevato” dalla polizia tedesca di passaggio al confine provenendo dalla Danimarca. Ma già nel giro di pochissimi giorni della sorte del leader catalano si sono spenti gli echi, pronti – si presume – a farsi sentire in momenti più o meno prossimi, a seconda delle necessità, politiche e dunque giornalistiche.
Lasciamo per il momento Carles Puigdemont al suo destino, non essendo esperti di diritto internazionale. Si è letto che la Germania non sarebbe pronta a estradarlo sulla base delle sue pozioni politiche autonomistiche ma per il fatto che i “connazionali” spagnoli l’hanno denunciato per appropriazione indebita, avendo promosso con i denari di tutti una consultazione elettorale non legittima. Staremo a vedere.
Per intanto non si può evitare di fare alcune considerazioni. La vita, anche nelle regioni pervase dagli ideali più forti e struggenti, continua secondo le sue scansioni di normalità e di lieta – il più possibile – e sopportata esistenza. L’Europa, nel senso di Ue, ha già fatto sapere e in più di un’occasione di non riconoscere un eventuale stato catalano nato in difformità delle leggi spagnole, essendo la Spagna uno dei membri più importanti della Ue stessa. Riconoscimenti da parte di altri stati vicini o confinanti, Italia compresa, sono possibili ma non probabilissimi.
Anche in queste condizioni, dunque, prevale il convincimento che determinati problemi si attenuino con il trascorrere del tempo, con l’ “invecchiamento” delle persone e con il venire meno delle cosiddette spinte propulsive, con la volontà che ognuno di noi ha di vivere in quieta serenità il tempo – appunto, questo grande medico – che gli è destinato. Abbiamo una miriade dei esempi nel mondo. Temiamo che anche Carles Puidgdemont, che non pare possegga la tempra di un Gandhi, qualunque cosa succeda, nei momenti… del crepuscolo qualche pensierino in proposito lo faccia.
E, davvero, è molto saggia la conclusione di un recente intervento sul Corriere della Sera di Sergio Romano, anziano ma attento e concreto storico, giornalista e nostro diplomatico e varie sedi nell’ultimo mezzo secolo. A chi gli chiedeva consigli su un’evoluzione della “crisi” catalana, rispondeva dicendo di portare alla Commissione europea – invece di nuovi stati, nuovi statuti e nuove costituzioni – un pacchetto di richieste “ragionevoli” per migliorare lo status della regione. Che potranno essere più facilmente accettate. La politica del possibile, e chi lo sa, anche del probabile.
You must be logged in to post a comment Login