Non occorrevano conferme in pista per sottolineare la concreta validità di Valentino Rossi di protrarre il contratto con la Yamaha impegnandosi, così, a volare, da una pista all’altra, sino all’età di 42 anni.
Non occorreva, dunque, neppure quel podio del Qatar con un terzo posto ottenuto, dopo una gara da prim’attore, con risultato finale tutto tricolore con quel primo posto di Dovizioso.
Non occorreva neppure la piacevolissima conferma. Intendiamoci può anche darsi che non a tutti (parlando di concorrenze) possa avere fatto piacere ma per la maggioranza – e soprattutto per lo sport – dubbi di reticenze non possono esistere.
È servito, invece, confermare quello che già si sapeva ante Qatar e cioè che tra Valentino e il suo mezzo, di qualunque marca possa essere, esiste un’armonia quasi una perfetta riproduzione del centauro (metà uomo e metà strumento) di buona memoria non tanto per confermarne la classe – più che risaputa – ma per puntualizzare come tra il pilota ed il mezzo si sia creata una cosa sola in virtù della quale il pilota ha la necessità di convivere con il mezzo.
Esiste, insomma, una sorta di indispensabilità per chi ha passato una vita dedicandosi professionalmente al motociclismo non solo per gareggiare ma per il desiderio, di unirsi – ogni giorno – quasi creandosi un’occasione per formare il binomio.
È sicuramente questa simbiosi che spinge un campione rendendolo non un semplice partecipante a continuare la sua insaziabile voglia di esistere sulle piste.
Quello che induce il campione – e come tale Valentino Rossi – a continuare è solo passione. E come tale indomabile.
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