L’omelia che Papa Francesco ha dedicato al Vangelo dell’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, in occasione della Domenica delle palme, in cui si celebra anche la Giornata mondiale della gioventù, ci offre stimoli di riflessione assai interessanti, proprio perché Francesco non ha esitato ad usare il duplice registro biblico-teologico per rivolgersi ai giovani con un messaggio chiaramente contemporaneo. Ciò ha indotto alcuni commentatori a spregiudicate interpretazioni, da cui mi asterrò assolutamente, soffermandomi solo sullo straordinario suggerimento sul senso dell’uso del grido.
Il brano di Luca recita: “Quando fu vicino alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare a gran voce Dio per tutti i miracoli che avevano visto. Gridavano: Benedetto colui che viene nel nome del Signore: egli è il re! I cielo pace e gloria nel più alto dei cieli. Allora alcuni farisei che si trovavano tra la folla gli dissero: “Maestro, fa’ tacere i tuoi discepoli!” Ma egli rispose: “Vi dico che se taceranno costoro, si metteranno a gridare le pietre”.
A quel grido di gioia, che suona ben più come un canto che come uno slogan ritmato da corteo di protesta, Francesco appone questo commento. Come non acclamare Colui che aveva restituito loro la dignità e la speranza? È la gioia di tanti peccatori perdonati che hanno ritrovato fiducia e speranza. E questi gridano. Gioiscono. È la gioia.
Ma questo scandalizza i Farisei, che li vorrebbero ridurre al silenzio. Poco più avanti, secondo Matteo, un episodio che ha lo stesso significato solleva la collera dei Sacerdoti e degli Scribi: siamo ormai all’interno del recinto del tempio, Gesù ha cacciato i mercanti, guarito ciechi e storpi: “ma i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che aveva fatto e fanciulli che acclamavano nel tempio: “Osanna al figlio di Davide!”, si sdegnarono e gli dissero: “Non senti quello che dicono costoro?”. Gesù disse loro: “ Sì, non avete mai letto: Dalla bocca di bambini e di lattanti / hai tratto per te una lode?”.
Da questo scandalo, dice Francesco, nasce un ben diverso grido, il CRUCIFIGE del venerdì, questo sì, è uno slogan ritmato, la rivincita dell’odio e del rancore, abilmente manipolati da quegli stessi che volevano ridurre al silenzio l’esultanza della novità per ricondurre la vita alla ‘normalità’ del culto ben ordinato, che tiene ben separati i giusti dai peccatori, i dotti dal popolo, che non inquieta i potenti Romani.
Prima, però, c’è ancora un passaggio di canto: Matteo e Marco ricordano che dopo la Cena Eucaristica e prima di avviarsi verso il monte degli Ulivi, Gesù e i discepoli cantano inni e salmi: l’unità fraterna si realizza compiutamente nella preghiera anche attraverso la particolare attenzione reciproca che richiede il canto.
La notte sembra portare un silenzio angoscioso, indecifrabile: non lo rompono la preghiera solitaria di Gesù nell’orto, il vano richiamo alla veglia rivolto ai discepoli prediletti, il bacio di Giuda, silenzioso segnale del tradimento, cui Gesù replica con dolcezza”Amico, per questo sei qui!”, non il farfugliato rinnegamento di Pietro, nemmeno il canto del gallo, nemmeno le accuse del Sinedrio, lo schianto della corda di Giuda. È iniziato il silenzio di Dio.
In questo silenzio tutto perde significato, le parole delle accuse e delle false testimonianze davanti al Sinedrio, le vacue richieste di Pilato e di Erode, i timori della moglie di Pilato: nulla vale più, se Dio tace. Solo in questo modo possono prevalere le voci di chi solo grida più forte, anche se dice solo “Barabba” o “crocifiggilo”, cioè nulla, nulla di sensato. Niente di più degli insulti, degli schiaffi e degli sputi dei soldati, non certo famosi per eleganza d’eloquio. Infatti è il rumore, non il significato delle parole che sopraffà Pilato, tanto che non riuscendo a farsi intendere a voce, ricorre al gesto simbolico, visibile e intellegibile a tutti, di lavarsi le mani.
Un solo grido rompe questo silenzio, quello di Gesù morente sulla croce, un forte grido, dice Marco, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, non il riconoscimento di una sconfitta, ma come tutti sanno, la citazione del titolo del salmo 22 che esprime l’affidamento del Messia nelle mani di Dio. Ritorna quindi il silenzio assoluto del sepolcro fino ad una Risurrezione che è insieme annuncio e ancor più profondo silenzio, perché mistero e insieme fede, cioè conoscenza definitiva.
Quale grido oggi? Quello della fede e dell’amore misericordioso e quindi della gioiosa speranza o quello del rancore, della pretesa autosufficienza e della volontà di potenza? Un grido che vorrà soltanto essere più potente degli altri o sarà capace di portare con sé l’eloquente silenzio del sepolcro vuoto, origine e caparra della gioia di Pasqua?
Dice Francesco: Di fronte a tutte queste voci urlate, il miglior antidoto è guardare la croce di Cristo e lasciarci interpellare dal suo ultimo grido. Cristo è morto gridando il suo amore per ognuno di noi: per giovani e anziani, santi e peccatori, amore per quelli del suo tempo e per quelli del nostro tempo. …Cari giovani, sta a voi la decisione di gridare, sta a voi decidervi per l’Osanna della domenica così da non cadere nel “crocifiggilo!” del venerdì… E sta a voi non restare zitti. Se gli altri tacciono, se noi anziani e responsabili – tante volte corrotti – stiamo zitti, se il mondo tace e perde la gioia, vi domando: voi griderete? Per favore, decidetevi prima che gridino le pietre.
Nella santa Messa vigiliare di Pasqua Papa Francesco e tutti i sacerdoti del mondo canteranno il Preconio Pasquale, annunciante la resurrezione di Gesù Cristo. Con voce timorosa e sommessa (non più giovane e mai intonata) mi unirò al canto e sarà questo il mio grido.
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