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Parole

INSEGNANTE A SINGHIOZZO

MARGHERITA GIROMINI - 23/03/2018

cassaroHo atteso che si placasse il carosello dei media intorno alla maestra Lavinia Cassaro, sospesa dal servizio a Torino per avere insultato la polizia nel corso di una manifestazione dei centri sociali contro Casapound.

Per giorni è girato in rete il video che la ritrae urlante contro le forze dell’ordine schierate in strada: “Vigliacchi, mi fate schifo, dovete morire”. E questa è la frase ripetibile. Il resto lo si trova, appunto, in rete.

Mentre la guardavo mi veniva in mente un video americano che mi piace mostrare quando si richiama il valore dell’esempio. Il video si intitola “Children see, children do”.

Si impara per imitazione. Lo sappiamo: prima in famiglia, poi nella cerchia degli affetti e infine, a scuola, dagli insegnanti e dai compagni.

Una maestra di scuola dell’infanzia e della primaria non può essere priva dei titoli richiesti per l’accesso a scuola. Da poco più di un decennio ci vuole una laurea in scienze della formazione che include un lungo periodo di tirocinio nelle classi. Ma serve anche altro: competenze, attitudini e qualità che non sono esattamente misurabili: equilibrio, empatia, sensibilità umana, pazienza, garbo.

Le insegnanti del Blog “Cattive maestre” hanno difeso a spada tratta la collega: non si è maestre per 24 ore al giorno, esisterà pure un orario di servizio. Cioè, brave, accoglienti, garbate, attente fino alle 13, poi scatenate e violente nel tempo libero dagli impegni scolastici? Persone scisse, mi sembra.

Ma non è in una riflessione psicologica che voglio addentrarmi bensì nel campo della cultura pedagogica.

I docenti si rifanno a un codice deontologico, al momento non ancora scritto, che esiste da quando esiste la scuola come istituzione e va rispettato.

Per chi opera in una scuola pubblica ci sono le leggi dello stato. Poi le norme interne alla scuola: i programmi nazionali a cui ci si attiene nell’esercizio della libertà di insegnamento e che precisano le finalità da perseguire nella formazione del futuro cittadino.

Rispetto, solidarietà, cooperazione, accoglienza, acquisizione dei valori legati alla pace e alla convivenza: solo alcuni.

La maestra Cassaro ha infranto quel patto che la scuola stringe con le famiglie e con la società quando riceve le giovani leve, coloro che costituiranno la società di domani.

Può una maestra, fuori dal proprio orario di servizio, minacciare con parole violente e irrispettose le forze dell’ordine, o chiunque altro si trovi sulla sua traiettoria solo perché lei lo ritiene un nemico?

Intervistata a “Matrix” la Cassaro ha ribadito: “Sì, ho detto quelle parole perché loro (i poliziotti) stanno proteggendo i fascisti, e perché un giorno potrei trovarmi, fucile in mano, a combattere contro questi individui”, peggiorando, se possibile, la sua posizione.

Non auguro davvero la morte a nessuno ma ero arrabbiatissima. Ho detto quello che pensavo ma è stato travisato”.

Una maestra ha l’obbligo di saper mantenere il necessario equilibrio. Sennò, che fa quando incontra una classe insopportabile sul piano disciplinare, si trasforma in una donna “arrabbiatissima”? E dunque, lancerà suppellettili, picchierà i bambini, insulterà e trascenderà ogni limite?

Non ho citato i fatti che l’hanno condotta dentro un’inaccettabile crisi di nervi: la questura di Torino aveva costituito un cordone di sicurezza per impedire a 500 antagonisti antifascisti di raggiungere l’hotel dove era in corso il comizio del leader di Casapound, Simone Di Stefano.

Una brutta storia, la rinascita dei neofascismi, preoccupanti i loro raduni, lo affermo anch’io.

Ma l’immagine di una maestra che insulta i poliziotti confligge con il ruolo e con la funzione della scuola.

Un alunno che veda in rete la propria maestra urlare e minacciare la morte su una pubblica piazza ne ricava una brutta lezione che contraddice qualsiasi “predica” sulla necessità di comportarsi bene.

Children see, children do: i bambini ci guardano, i bambini ci imitano.

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