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Attualità

MORO/1 FARE E AMARE

EDOARDO ZIN - 23/03/2018

La stretta di mano tra Moro e Berlinguer

La stretta di mano tra Moro e Berlinguer

La politica è fare” ha affermato nei giorni scorsi un giovane – e, per certe fattezze, simpatico – candidato alla presidenza del Consiglio, citando De Gasperi. Ci dispiace per lui, ma l’espressione non è dello statista trentino, bensì di Aldo Moro, il quale aggiungeva – e l’inesperto politico l’ha omesso – che “il fare include il pensare e l’amare”. Era una frase che Aldo Moro ripeteva spesso.

Ricordare il grande statista, a quarant’anni dal suo barbaro sequestro, suscita in chi ha vissuto quei terrificanti momenti, ricordi non sopiti, riapre ferite non del tutto cicatrizzate, rimanda a nostalgie malinconiche. Questo lo provano nella memoria individuale coloro che hanno vissuto l’orrenda stagione di quarant’anni fa. Manca, al contrario, un impegno di tutti di fronte alla storia, una memoria collettiva che non è stata consegnata ai giovani d’oggi. Non c’è vita senza memoria e non c’è vita senza la percezione di quello che siamo o vorremmo essere. Ultimamente, abbiamo assistito a tentativi di rimuovere la memoria che bussa alla coscienza del Paese e che è giunta perfino all’esaltazione delle illusioni di un gruppo di cattivi maestri che un tempo insegnavano l’odio ed oggi tentano con sotterfugi di giustificarlo dagli schermi televisivi.

Aldo Moro, davanti al Sessantotto e al voto degli italiani, aveva capito che la società italiana stava cambiando e che milioni di cittadini – rappresentati nel Pci – avevano diritto di essere ascoltati per permettere a loro di partecipare attivamente alla vita democratica. Attento a questi segni del tempo, voleva aprire una nuova fase della democrazia politica che non poteva essere basata solo sulla libertà, ma doveva ampliare l’azione di conquista sociale da parte di masse finora emarginate. Molti lo osteggiavano: un cardinale di Santa Romana Chiesa alla sua morte disse: “Ha avuto quello che meritava per aver trafficato con i comunisti”! e il Segretario di Stato Kissinger, incurante dei buoni rapporti che il suo ambasciatore a Roma gli inviava, lo vedeva come il fumo negli occhi! Moro, paziente, responsabile, spiegava, talvolta con un linguaggio levantino che poteva sembrare ingarbugliato nella prosa, ma ricco di argomentazioni, esponeva le sue ragioni per combattere tesi avverse e portare tutto a sintesi, sfidando le passioni inacerbite e l’angustia della faziosità.

Se fosse vissuto ai nostri tempi, avrebbe capito già da molto tempo che la collera “populista” non era che il riflesso della crisi profonda della partecipazione democratica. Avrebbe capito che la rabbia non poteva essere governata solo con promesse e da soli, ma che occorreva controllare le forze che sfuggono al controllo politico: lo strapotere finanziario ed economico. Avrebbe capito che per risolvere problemi di dimensione mondiale, come il riscaldamento climatico, la rivoluzione tecnologica, la proliferazione nucleare, l’emigrazione, la disuguaglianza sociale non si poteva essere soli, ma lavorare “tutti assieme” proprio per non precipitare nella demagogia. Avrebbe “iniziato processi più che possedere spazi”, come dice Papa Francesco.

Contro il declino della politica, alla crescente polarizzazione della nostra società in cui gli individui si fronteggiano con argomenti contraffatti dai social media o – peggio ancora – senza saper ascoltare né comprendere gli argomenti altrui, Moro invitava noi giovani a capire, a pensare, a riflettere senza fermarci alla superficie delle cose, ma penetrando le ragioni e il loro significato profondo. Oggi inviterebbe tutti a pretendere il confronto, il dialogo, la mediazione, ad accettare i compromessi, ma non le compromissioni, pur di trovare una sintesi con l’impegno dell’intelligenza, la fiducia nella verità e il rispetto delle persone e delle loro responsabilità.

Traggo questo pensiero di Moro da un suo scritto giovanile pubblicato sulla rivista “Studium” nel 1952: ”Alle svolte della storia non si va solo con il coraggio che travolge gli ostacoli ed avvia alla meta. Si va, se si è uomini coscienti delle complesse ragioni del divenire storico, anche con quella riservatezza che può sembrare talvolta paura.” Ed in un altro suo scritto aggiungeva: “Chi ha più filo tesserà la tela”. Il filo è la ragione, il tessere è la capacità intellettuale di argomentare gli obiettivi senza rinunciare agli obiettivi e senza nascondere l’asprezza della realtà per paura di perdere voti.

Ma l’allargamento della conquista sociale doveva avvenire con l’impegno dell’intelligenza non votata all’utile, se non al calcolo, ma che implicava l’incontro nella verità che rimane l’insopprimibile prerogativa del diritto. “Una democrazia senza verità è fondata sulla sabbia” – continua nel suo articolo.

Nutriva un grande rispetto, quasi una ritrosia, per tutti: dava del “lei” a noi giovani e penso che non esista una fotografia in cui si vede Moro abbracciare un suo amico di partito o un suo collega. Non era, la sua, riottosità, ma stima per le persone e per le loro responsabilità.

Era un profondo, convinto credente cresciuto alla scuola della FUCI di Giovanni Battista Montini, ma non ostentava la sua fede. Con la sua morte è iniziato il processo d’irrilevanza della presenza dei cattolici nella vita del nostro Paese. Dapprima tangentopoli, successivamente la scissione tra cattolici popolari democratici e cattolici neo-liberali che trovarono spazio nel partito di Berlusconi. L’era ruiniana del collateralismo di centrodestra, la corruzione in movimenti che si richiamavano all’insegnamento della chiesa fecero il resto.

Sono caduti in disuso i valori non negoziabili e la formula è stata accantonata con troppa superficialità al punto di giustificare persino le posizioni più oltranziste che hanno avuto come conseguenza la marginalizzazione del laicato cattolico politicamente impegnato.

Che fare oggi? I cattolici sono impegnati a ridare sostanza alla partecipazione democratica e a ritrovare la saggezza che hanno perduto, la conoscenza che hanno smarrito nell’informazione, il senso della comunità frantumata nell’individualismo, la ricerca della politica come servizio al bene comune: così può continuare la lezione di Aldo Moro, il tessitore.

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