Dopo dieci anni dalla sua fondazione è il momento di cominciare il secondo tempo della breve storia del Pd. Lo impone la durissima sconfitta del 4 marzo ma una revisione della proposta politica, dei metodi operativi, del tipo di comunicazione, si sarebbe resa comunque necessaria anche se la sua azione è da considerarsi complessivamente positiva.
Nel 2011, con l’Italia sul baratro, il Pd aveva appoggiato Mario Monti con il suo governo del risanamento e del rispetto europeo e internazionale. Dopo la “non vittoria” del 2013 (Bersani segretario) ha costruito tre difficilissimi governi con Enrico Letta (alleanza con Berlusconi), Renzi (mille giorni) e Gentiloni che hanno dato buoni risultati ritenuti però insufficienti dagli italiani e questo è ciò che conta.
In questi anni, lo conferma appunto l’esito delle elezioni, si è però affievolito il rapporto con la società, sottovalutata l’importanza dei corpi intermedi, data l’impressione di una guida troppo egocentrica. Il racconto ottimistico appariva a molti più una forma di propaganda (lo era solo in parte) che una realtà chiaramente percepita.
La comunicazione dei partiti e dei governi è oggi un fatto politico di decisiva importanza e quella del Pd non si è sempre rivelata all’altezza delle necessità. La buona riforma costituzionale, che all’inizio godeva di un forte appoggio popolare ed è stata poi respinta dagli italiani, ne ha dato la prima conferma. Il 4 marzo va assunto come un amaro risveglio per spingere a rinnovare il rapporto con la società senza però buttare quanto di buono è stato fatto. Difficile da spiegare l’astio, o perfino l’odio, verso Renzi.
Dopo le sue doverose dimissioni servirebbe la nomina, da parte dell’Assemblea nazionale, di un segretario che porti il partito alle elezioni europee adottando nel frattempo una correzione di rotta da sottoporre agli elettori. Il congresso e le primarie dovrebbero venire dopo con la calma e la profondità culturale che sono necessarie in questa difficilissima fase italiana ed europea.
Accantonare le primarie sarebbe uno spreco inaccettabile. Semmai va costruito l’album degli elettori delle primarie così da assicurare la perfetta correttezza dell’operazione senza confusioni. Sarebbe il modo più efficace per avere un leader voluto da tutti e non il tradizionale segretario di partito frutto delle intese correntizie.
Il progetto del Pd dovrebbe tendere alla riduzione delle povertà, del disagio e delle diversità sociali e territoriali. Attenzione però a un tema controverso: un moderno partito di governo di centrosinistra, in una società senza classi, non sceglie a priori il “suo” segmento di società ma punta ad un’ampia rappresentanza sociale sapendo che i ceti medi costituiscono sempre la spina dorsale di uno Stato democratico. Forse sono minoritario parlando così ma penso che questa sia la giusta impostazione.
Sul piano operativo andrebbe promossa una organizzazione meno “leggera” di quella sperimentata negli ultimi anni. Circoli, organismi provinciali e regionali non torneranno più quelli di una volta ma non possono che essere rivitalizzati come sede di partecipazione politica e di fondamentale riferimento per le Istituzioni territoriali.
Sarebbe opportuno rispettare il ruolo di opposizione che gli italiani hanno consegnato al Pd con il conseguente rifiuto di un’alleanza politica con uno dei due vincitori. Ma non si potrà rispondere negativamente ad una eventuale chiamata del Capo dello Stato alla responsabilità istituzionale per fornire al Paese un governo che rassicuri l’Europa.
La domanda centrale è cosa deve essere il Pd affinché il suo interesse corrisponda all’interesse generale dell’Italia. Centrare la risposta significherebbe ritornare protagonisti sulla scena nazionale ed europea.
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