Studenti a lezione di tiro a segno.
Credevo che alla base dei valori educativi socialmente condivisi ci fossero attività legate alla convivenza civile, alla coesistenza pacifica,alla cooperazione, alla solidarietà.
A me quattro lezioni scolastiche a un Poligono di Tiro sembrano fuori luogo, cioè estranee a un contesto educativo. Eppure succede, all’Istituto Tecnico Commerciale “Almerico da Schio” di Vicenza. Nell’opuscolo di presentazione dell’istituto il tiro a segno è promosso come pratica sportiva “per potenziare comportamenti ispirati a uno stile di vita sano”, insieme ad aerobica, nuoto e rugby.
Premetto che non ho pensato in automatico alle stragi causate dalla libera circolazione delle armi in alcune scuole americane.
Non nego che c’è tanta distanza tra un breve corso di tiro a segno e una strage compiuta, soprattutto per la facilità con cui si possono acquistare e possedere armi di ogni genere negli USA.
Ma la domanda cruciale resta: con le conclamate carenze del sistema scolastico odierno, con i tanti, troppo compiti che vengono attribuiti dalla società alla scuola, è proprio necessario condurre gli studenti di alcune prime classi superiori a lezione di tiro a segno?
Mi pare che la varietà di sport offerta alle scuole, in tanti casi gratuitamente, sia tale da non doversi ritrovare tra le prime opzioni proprio il tiro a segno. Allena la mente, costringe ad un’attenzione senza cedimento alcuno?
Perché non gli scacchi?
Una madre vicentina segnala alla stampa il caso del figlio che appartiene a una delle quattro classi coinvolte nell’esperimento. Chiede di restare anonima: brutto segnale di sfiducia nell’istituzione scuola che pure, mi risulta, è tuttora dotata di organi collegiali dove siedono sia la componente scolastica sia la componente genitori. Perché non esprimere in quella sede il proprio disaccordo?
La genitrice contraria all’iniziativa precisa che l’ultima visita al poligono sarebbe stata valida come voto per la materia di scienze motorie, motivo per cui non ha voluto impedire al ragazzo di frequentare la lezione.
Comunque sia, la notizia arriva ai giornali. Viene sentito il dirigente scolastico che sostiene l’iniziativa: il tiro a segno è una disciplina olimpica! Come se tutte le discipline olimpiche dovessero trovare accoglienza nel contesto educativo.
A me pare che la scuola abbia il compito di filtrare prima di accogliere, di proporre ma sempre sapendo argomentare sul valore educativo e didattico delle discipline che si vogliono introdurre nel curriculum. Altrimenti mi verrebbe da chiedere: “ A quando una bella lezione di caccia al fagiano; a quando un campionato di videogiochi?”.
Le poche voci di dissenso sui quotidiani sono state tacciate di moralismo. Un quasi complimento per i tempi che corrono.
Ma diamo spazio ai moralismi: per degli studenti minorenni non andavano bene la pallavolo o il calcio, entrambi sport che difficilmente possono essere considerati pericolosi o poco istruttivi per i ragazzi? Può una scuola pubblica promuovere l’utilizzo di pistole e armi sia pure ad uso sportivo? Può far parte dell’offerta formativa insegnare a sparare?
La scuola non dovrebbe poter essere il luogo nel quale avviare ragazzini alla pratica delle armi sia pure sportive: un’arma rimane comunque uno strumento di offesa.
D’accordo, Vicenza non è il Texas, dove pistole e fucili sono a portata di tutti. Anche se poco tempo fa proprio in questa città si è svolta la manifestazione “Hit Show”, da quattro anni la più importante dedicata alle armi private nel nostro Paese. Intorno all’evento, a cui hanno partecipato migliaia di persone, si sono scatenate polemiche di natura anche politica perché sono stati ammessi anche minori: l’unica fiera in Europa a permetterlo.
La pistola come un pallone da calcio, una palla ovale da rugby, o un guantone da pugilato? Gli spari alla sagoma possono essere valutati alla stregua di un’arte marziale, di una mossa di karate?
Forse la scuola avrebbe bisogno di ben altri attrezzi.
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