Il voto del 4 marzo ci consegna due vincitori e tanti sconfitti, ma non è detto che i primi saranno in grado di assicurare un governo solido e credibile al Paese. È ancora un po’ presto per ragionare pacatamente e trarre conclusioni da quell’esito, però è possibile cominciare a delimitare alcuni punti per una riflessione non piegata sull’onda del voto. Gli elettori hanno stabilito il pieno successo di due forze indicate come “populiste” e “pericolose”. Evidentemente la loro “percezione” è alquanto diversa dai detrattori al punto da punire severamente quelli nazionali e ignorare deliberatamente le ingerenze, sciocche e inopportune, messe in campo da alte autorità europee. A quanto pare i critici hanno contribuito a produrre effetti contrari a quelli desiderati.
L’unica cosa certa apparsa finora è che gli elettori non si sono lasciati impressionare più di tanto da una campagna elettorale tanto allarmistica e aggressiva, quanto vuota di contenuti. Sul futuro è meglio non giungere a conclusioni precipitose perché, per nostra fortuna, i padri costituenti hanno definito regole e principi che hanno già garantito in circostanze certo non facili per la nostra Repubblica, di affrontare e superare ostacoli che apparivano insormontabili. Staremo a vedere.
Per giungere ad un esito più virtuoso si sarebbe dovuto fare i conti con le cause che alimentano “populismi” e “sovranismi”. Invece siamo stati sommersi da una campagna elettorale brutta e cattiva, costruita su una propaganda superficiale e autoreferenziale.
Eppure da tempo e da più parti viene sottolineato che il consenso di queste forze nasce e si alimenta dentro una crisi economica e sociale inedita e di vaste proporzioni. I successi di M5S e Lega, pur diversi per dimensione e origine, prendono corpo innanzitutto nella delusione dalla politica di chi ha governato e pure di chi, come la sinistra raccolta in “Liberi e uguali”, pur provandoci non è riuscita a rendere credibile la sua proposta di cambiamento. Nel voto, che premia due forze come M5S e Lega che al di là dei luoghi comuni non sono fra loro assimilabili, appare forte la voglia di dare uno scossone a un “sistema” guasto, malato, incapace di fare i conti con i problemi reali delle persone in carne e ossa. Vedremo alla prova dei fatti quali saranno gli scossoni praticabili e anche se corrispondono alle attese e alle aspettative di quanti li hanno votati. Le incognite restano alte e più che parlare di terze o quarte repubbliche sarebbe meglio ripartire dalla crisi, dalle sue cause reali e i suoi effetti, dalle strade nuove da percorrere.
Un’altra grande incognita riguarda il futuro della sinistra nel nostro Paese come nel resto d’Europa. La sua sconfitta ha motivazioni che vanno ben al di là dei “vizi e difetti” riscontrati in campagna elettorale. Non a caso dal voto escono punite indistintamente tutte le sue formazioni. Certo il PD ridotto a meno del 20% non è la stessa di “Liberi uguali” e del suo mancato decollo oppure degli altri che, crogiolandosi nella perenne autoreferenzialità, sono condannati a restare sotto la soglia di sbarramento. Nel primo caso c’è la sconfitta di un partito prigioniero del renzismo e le cui politiche e i comportamenti hanno prodotto un distacco vertiginoso dalla sua base sociale e politica. Tutti i segnali che facevano presagire il peggio sono stati deliberatamente ignorati illudendosi di poter contare su un 40% che, nella realtà dei fatti, era inesistente già qualche mese dopo le europee del 2014. Per colmare il divario non poteva certo bastare l’allarme finale accompagnato dal tanto invocato “voto utile”.
Anche il tentativo di “Liberi e uguali” di mantenere i fuggitivi dal PD sulla sponda sinistra del fiume si è rivelato fallimentare. La scelta è apparsa ai più troppo tardiva e improvvisata sul piano organizzativo come su quello programmatico. In ogni caso sarebbe un errore leggere la crisi della sinistra in chiave semplicemente elettoralistica.
La crisi economica e i mutamenti negli assetti produttivi e di potere hanno messo in discussione ovunque le basi materiali su cui si reggeva il vecchio “patto sociale” fatto di welfare e diritti di cittadinanza. La cosiddetta globalizzazione anche nella sua variante europea più che attenuare gli squilibri e le contraddizioni le ha acuite a tal punto da mettere in crisi anche la democrazia e le istituzioni rappresentative. Una sinistra degna di questo nome non può che ripartire da qui. L’unico modo per fermare i “populismi” e tutto il materiale infiammabile accumulatosi dentro la crisi e, con essi, le derive neoautoritarie, va cercato in un impegno eccezionale e straordinario volto a comprendere l’estensione e la profondità di quel disagio sociale formulando risposte coerenti con le idee e i valori della sinistra. Una regola che dovrebbe valere anche nell’immediato. Adesso, nel tormentato passaggio prodotto dal voto. Non servono i tatticismi, né le mosse di corto respiro, ma una sinistra rinnovata, aperta e plurale che ritrova la sua ragione d’essere in un progetto di trasformazione dell’esistente ancorato ai principi e ai valori della Costituzione, capace di rimuovere le cause che generano le disuguaglianze economiche, sociali, culturali, e pertanto di ricostruire un circuito virtuoso tra cittadini, politica, istituzioni.
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