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Opinioni

LA RIFORMA

CESARE CHIERICATI - 09/03/2018

rosatellum“Non l’ha capito nessuno ma l’hanno votato tutti”, così con involontaria ironia Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia ha commentato a caldo l’esito delle elezioni politiche di domenica 4 marzo, disegnate dalla nuova legge elettorale, il Rosatellum. Un meccanismo che ha fatto ovviamente emergere i vincitori (M5S e coalizione di Centrodestra) e i vinti (tutti gli altri) ma non ha creato le condizioni per la governabilità. Infatti nessuno dispone della maggioranza necessaria per fare un governo, con limpidezza e senza incauti connubi, unicamente sulla base dei risultati ottenuti alle urne.

Questo fatto rimanda direttamente a un articolo di dieci anni fa sul Corriere della Sera a firma Giovanni Sartori, uno dei padri più autorevoli della politologia italiana. Sosteneva, a ragione, che il nostro è un sistema parlamentare squilibrato da un eccesso di “parlamentarismo” a scapito della governabilità. Un esito determinato dalla fuoriuscita dal totalitarismo fascista e dunque all’epoca più che giustificato. Molti ricorderanno i tanti governi a trazione DC che hanno caratterizzato il dopoguerra fino agli anni’90. Appariva come un paese instabile l’Italia repubblicana perché gli esecutivi avevano in genere vita breve. In realtà si trattava di una instabilità stabile garantita dal contrasto condiviso al Partito Comunista che per decenni fu una forza antisistema e che, in caso di successo, avrebbe potuto addirittura stravolgere il sistema democratico stesso. Con lo sfaldamento dei regimi comunisti dell’Est Europa e l’esplosione di tangentopoli venne meno il cemento che aveva tenuto insieme il “parlamentarismo” della prima ora. Progressivamente avvenne uno sfilacciamento, una frammentazione estrema e sempre più caotica del sistema partitico. Fu allora che il tema della governabilità entrò in agenda in vista di una revisione costituzionale capace di privilegiare la governabilità.

Come molti ricorderanno tutti i tentativi in tale direzione sono falliti. Sartori nel citato articolo proponeva come rimedio possibile “tre riforme atte a rinforzare la governabilità senza disastrare il sistema parlamentare che abbiamo: 1) la fiducia accordata soltanto al capo del governo 2) la conseguente sostituibilità dei ministri 3) la sfiducia costruttiva, ovvero un governo può cadere solo se un altro è pronto a sostituirlo con l’appoggio della maggioranza parlamentare”. È chiaro che tali riforme – sosteneva Sartori – implicano una legge elettorale capace di mitigare la polverizzazione del sistema partitico per consentire coalizioni abbastanza omogenee tra le quali gli elettori decidono chi premiare. Come l’esperienza insegna ciò non basta, risulta allora opportuno attribuire un ragionevole premio di maggioranza a chi arriva primo e possa quindi disporre dei voti necessari per governare. Esattamente quello che non si è fatto con il Rosatellum, squilibrato in senso proporzionalista, che di vincitori ne ha addirittura decretati due: M5S e Centrodestra, un partito e una coalizione. Come se in un torneo di tennis i due vincitori delle semifinali rinunciassero a disputare la finale. In poco più di vent’anni l’Italia ha sperimentato, dopo il proporzionale puro postbellico ben quattro leggi elettorali. Nonostante il ricorrente fai e disfa, anche con il concorso della Corte Costituzionale, il tema centrale della governabilità resta irrisolto. Un deficit, avvertiva amaro Sartori, frutto di “riforme self-serving” ovvero pensate “dai grandi capi più per danneggiare gli avversari che per servire gli interessi generali”.

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