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Incontri

PAPA/1 CINQUE ANNI FA

GUIDO BONOLDI - 09/03/2018

papaSono passati già cinque anni da quella sera del 13 marzo 2013, quando il neoeletto papa Jorge Mario Bergoglio si è affacciato per la prima volta alla loggia della basilica di San Pietro e ha esordito con quel disarmante “fratelli e sorelle, buona sera”, aggiungendo subito dopo che per dare un vescovo a Roma i fratelli cardinali erano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo.

In questi cinque anni papa Francesco è entrato nel cuore di milioni di persone nel mondo, cattolici e non cattolici, credenti e non credenti.

Per uno come me, nato negli anni Cinquanta del secolo scorso, Bergoglio rappresenta il sesto papa della vita, dopo Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI è arrivato lui, Francesco, senza numeri romani al seguito, così familiare come il “buon pranzo” che ci augura al termine di ogni Angelus domenicale.

Ma dando uno sguardo a questi ultimi sessant’anni della vita della Chiesa non possiamo non essere grati per come lo Spirito Santo l’abbia guidata, donandole questi sei grandi pontefici, uno così diverso dall’altro, eppure così in continuità tra loro rispetto al cammino che la Chiesa sta percorrendo attraverso un’epoca di così grandi cambiamenti, o meglio attraverso un cambiamento d’epoca.

Che non si sia trattato di “ordinaria amministrazione” ce lo indica il fatto che di due di questi sei pontefici la Chiesa ha già riconosciuto la santità e uno di loro è in procinto di essere canonizzato così come l’attuale compresenza, per la prima volta nella storia della Chiesa, di un Papa in carica e di un Papa emerito.

Non sono un teologo né un vaticanista e non posso avere la presunzione di tratteggiare un ritratto di papa Bergoglio, vorrei solo mettere in evidenza un aspetto che sempre mi colpisce quando lo vedo “all’opera” nella sua occupazione preferita, l’incontro con le persone, in particolare con i poveri, i disabili, i bambini, i carcerati, i profughi, insomma le persone più semplici e meno considerate: Francesco sprizza di gioia, si vede proprio che per lui è vero che quella carne che tocca, quel bacio che riceve, quella mano che stringe, sono la carne, il bacio e l’abbraccio di Cristo.

Uno dei viaggi apostolici che ho seguito con più attenzione è stato quello in Paraguay, per l’affetto che mi lega a quella terra dove ho trascorso cinque anni della mia vita: una immagine che mi è rimasta in mente è quella di due ragazzini, che mentre Francesco parlava davanti all’ospedale pediatrico di San Lorenzo, gli si sono fatti appresso abbracciandolo e non si sono più staccati da lui per tutta la durata del suo discorso: il Papa ha continuato a parlare nell’abbraccio dei due ragazzini, come Gesù con Giovanni durante l’ultima cena.

Ma c’è una frase di papa Francesco, che può essere considerata come la sintesi della sua attività pastorale ed è contenuta nell’enciclica Evangeli Gaudium: “Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi”; una frase, come tante delle sue, inconsueta e incisiva, che descrive bene il modo con cui Francesco opera.

Pensiamo per esempio alla visita a Lampedusa del luglio 2013, con la quale papa Francesco ha voluto esprimere la vicinanza ai profughi vivi e pregare per quelli morti, alla scelta di inaugurare l’anno santo del 2015/16 aprendo la porta santa della chiesa della capitale della Repubblica Centroafricana Bangui, che è diventata per un giorno la capitale spirituale del mondo, all’incontro con i profughi Rohinguya, perseguitati in quanto minoranza mussulmana del Myanmar.

Papa Francesco non è preoccupato di creare spazi di potere, dei quali poi si finisce per diventare schiavi, per l’assillo di difendere gli spazi conquistati; confida in Colui che guida la sua Chiesa e che avvia processi sempre nuovi per incontrare gli uomini, a partire dai più bisognosi.

Una Chiesa sempre in uscita.

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