C’è una catena d’abbigliamento a tinte pittoresche che si chiama, lo sapete, Desigual. Bel nome, buon gusto, piacevoli cose. Il termine, lingua spagnola, vuol dire diverso, irregolare, imprevedibile. I colori (ovvio) sono sempre quelli e la moda obbligata a filarseli. Però la maniera di mischiarli (non ovvio) dipende da estro e bizzarria, tocchi d’originalità e d’arte. Merito a chi sa mescolarli -colori, estro, bizzarria, originalità, arte- al meglio. Confezionando ciò che altri non sanno.
Quest’incipit banalmente lieve serve a introdurre a un argomento che dovrebbe esserlo di meno, la politica. Per dire: non è vero, come la fanfara arcipopulista e di strapaese sostiene, che i partiti sono tutti simili, e i candidati lo stesso, e idem il voto da buttare in una pattumiera gigantesca / maleodorante. Eh no, la faccenda non sta così. Esistono (sopravvivono) disparità, scarti, gap ben chiari a chi voglia praticare una scelta differenziata. Sarebbe il caso di prenderne coscienza, e poi ciascuno decida quel che gli pare infilando la scheda nell’urna. Ammesso che lo voglia fare, perché è lecito -pur se non sempre comprensibile- rifiutarvisi.
Quali sono queste difformità? Possiamo semplificare, scalando dal plurale al singolare: più che tante, sembrano ridursi a una sola. La dissonanza, il desigual, consiste nella scelta tra continuità e spaccatura. Dar seguito oppure no a un sistema che colloca saldamente l’Italia tra i Paesi a ispirazione / convinzione europea, in un’economia rispettosa dei fondamentali della tradizione liberaldemocratica, dentro a un fronte che non distingue tra diversi e invece li accomuna, nell’ambito d’uno spettro valoriale dov’è privilegiato il realismo al suo opposto. In fondo, è tutto qui. Il resto sono chiacchiere di contorno, naturalmente demagogica ciascuna la sua parte.
La campagna elettorale che ci sta alle spalle ha rappresentato il peggio possibile di tali parole al vento. Ne ha favorito lo sciagurato debordare il sistema di voto proporzionale, scelta successiva all’improvvida bocciatura del referendum per la riforma della Costituzione d’un anno e mezzo fa. Se fosse stata approvata, assieme alla legge maggioritaria per il voto, decideremmo delle nostre sorti in ben diverso modo, e la sera del 4 marzo avremmo un vincitore e alcuni perdenti. Anziché nessun vincitore e nessun perdente, come forse/purtroppo accadrà.
Detto questo poco, basta solo aggiungere che non viviamo nel più orrendo dei mondi immaginabili. Che dopo essere arrivati sull’orlo del burrone (2011), siamo ricresciuti produttivamente, abbiamo compiuto progressi sui fronti di lavoro/diritti civili/cultura e altro, ci collochiamo tra i Paesi in confortante ripresa, non tra quelli d’irreversibile decadenza. Che, infine, proseguire sulla via tracciata sembra opportuno e consigliabile. Affidandosi a meriti, esperienze, saggezze: disperderle è commettere un peccato più che mortale. È commettere una sciocchezza.
Buona domenica a tutti. Buona mistura di colori. Buona scelta desigual. E che qualcuno, non necessariamente il Padreterno cui non pare il caso d’appellarsi, ce la mandi (appunto) buona.
Ps
Grazie ai tanti amici che, nelle scorse settimane e fino ad oggi, han detto la loro sulle elezioni. Grazie all’editore, cui dobbiamo un dibattere sempre libero. Grazie a tutti voi che ci cliccate, e siete sempre di più
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