Paolo Tresoldi, allenatore di turno al Varese, sta di gran lunga superando le fatiche che gli erano toccate quando fu in bianco rosso come giocatore.
Veniva dal Milan come promessa rossonera mandata qui per raffinare un buon bagaglio tecnico così come era stato fatto alcuni anni prima per Michelon, altra speranza milanista non realizzatasi più di tanto.
Tresoldi bergamasco e, quindi anche soddisfatto della destinazione varesina vicina a casa, doveva fare il suo dovere di giocatore. Punto e basta.
La società era sana, economicamente tranquilla e pure sana era la squadra, niente problemi di stipendi e di classifica. Lo vidi l’ultima volta in quel di Torre Pedrera località ad un tiro di schioppo da Rimini che -chissà perché- era frequentata da parecchi calciatori.
Vi trovai Egidio Calloni, a suo tempo Roberto Bettega reduce dalla fama conquistata nelle file del Varese e che aveva indotto la Juve, al termine del suo campionato in bianco-rosso, a richiamarlo in bianco nero dopo averlo totalmente trascurato prima di spedirlo a Varese dove Bettega giunse letteralmente avvelenato dalla trascuratezza juventina facendo, peraltro, stupendo uso della presenza varesina che lo riportò in bianconero ed addirittura in azzurro.
Ora – si diceva- Tresoldi ha fatto ritorno su quel campo e con quei colori che bene gli avevano portato nella sua prima venuta con la serietà che fece sempre parte del suo bagaglio lui si è rimboccato le maniche lottando con piena volontà per cercare di raddrizzare una situazione tecnicamente per quanto lo riguarda messa non certo bene. Ma lui però non molla.
E, soprattutto, sta cercando di dare coraggio al gruppo di giovani che gli è stato affidato.
Gli è toccato un lavoro improbo sotto tutti i punti di vista.
Sinora resiste.
Pur guardandosi intorno in un assieme di difficoltà.
Un invito a resistere Tresoldi se lo merita tutto.
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