Mentre la politica si spreca in vari spot pubblicitari, promettendo la luna, ci sono notizie che fanno rabbrividire e che danno la dimensione esatta dello stato di malessere in cui versa il paese. Un malessere che non nasce all’improvviso, ma che ha radici lontane, quando un certo tipo di politica entrava nelle scuole e metteva in discussione l’ordine, la disciplina, le punizioni, l’etica docente e quando la democrazia, pensando di compiere un’azione giusta e liberale, faceva entrare a pieno titolo la famiglia nella gestione diretta della scuola, complicando le cose, invece di rafforzare l’autonomia del corpo docente.
Democrazia e liberalismo nascono e camminano su una base strettamente educativa, è noto a tutti, infatti, che la Costituzione italiana rappresenti il più grande codice educativo del paese. Cosa s’intende per codice educativo? Un insieme di regole scritte che armonizzano la vita della comunità. La nuova Italia, quella del dopoguerra, si orienta su un sistema grazie al quale il popolo diventa sovrano, dotandolo di un’articolata e ben configurata sequenza di norme da applicare per rendere reale e non fittizia la vita delle persone nel paese.
I problemi nascono quando, dopo il tentativo della “rivoluzione” sessantottina, il vento che spira tende ad allargare sempre di più le maglie della democrazia, facendo credere che fosse possibile introdurre una libertà fondata più su ragioni di natura partitica che su quelle strettamente vincolate a un ben determinato e strutturato sistema educativo. Molte delle riforme fatte hanno abolito quella parte che metteva dei freni, come il voto di condotta ad esempio, come gli esami a ottobre, come il rispetto nei confronti della classe docente. C’è stato un tempo in cui il docente aveva un ruolo ben preciso e proprio per questo godeva della massima fiducia da parte dei cittadini, nessuno avrebbe mai avuto la sfrontatezza di mettere in discussione le sue decisioni o di prendere spudoratamente le difese di un figlio maleducato. Sulle questioni punitive la famiglia appoggiava pienamente la scuola e in molti casi ne rafforzava l’azione e il giudizio.
Poi il tempo è passato e una strana libertà ha preso il sopravvento. I ruoli sono scaduti, i docenti sono passati in retroguardia, gli alunni all’avanguardia e son cominciati i guai. Spesso i presidi si sono trovati in difficoltà sulle decisioni da prendere, hanno dovuto lottare da una parte con una classe docente affaticata e confusa e con una famiglia sempre più in cattedra, capace di metter in crisi la scuola e gli stessi insegnanti. Si sono cominciate a vedere le prime ribellioni, le prime avvisaglie di una diffidenza che, col passare del tempo, ha assunto le sembianze di una vera e propria sfida. La democrazia ha mollato, ha creato la falsa illusione che tutto ciò che sapeva di giudizio, di punizione o di intervento educativo da parte dell’insegnante fosse una prevaricazione, un atto di intimidazione e di coercizione, innescando meccanismi di ritorsione e di rivolta.
Ricordo di un genitore che avrebbe voluto picchiare l’insegnante, di un altro che lo ha denunciato, di altri ancora che si presentavano con aggressività, come se l’insegnante fosse il nemico da abbattere e il figlio il genio da difendere e da promuovere. La democrazia è diventata democrazia della paura e la scuola si è posizionata in trincea. In molti casi ha cercato di reagire, ma non ha mai avuto quell’appoggio che sarebbe stato necessario per un forte salto di qualità. I ragazzini hanno cominciato ad alzare la cresta, forse perché si sono resi conto che paura e ambiguità, unite a una complicità familiare molto forte, avrebbero fatto il loro gioco. Chi ha insegnato sa quante parolacce siano state versate contro insegnanti visibilmente destabilizzati e confusi, sa quanto alcune classi si siano trasformate in manipoli pronti a tutto e quanto sia stato difficile mantenere un equilibrio in un mare di inefficienze.
La storia delle prevaricazioni ha dunque origini lontane, quando un’interpretazione errata della complicità democratica creava spazi di anarchia in cui si manifestavano tutte le aggressività della natura umana. Conoscevo un’insegnante che faceva lezione rimanendo accanto alla porta d’ingresso, pronta a scappare in presidenza al primo accenno di ribellione. Di solito i problemi si configurano in tutta la loro negatività quando vengono lasciati proliferare, quando si cerca di minimizzare, di far passare per democrazia e libertà l’imbecillità umana, che esiste e che prospera, se non viene presa per tempo e ricondotta in una prospettiva di liceità. Terminata un’epoca considerata da una parte come repressiva, ne è arrivata un’altra che ha aperto le porte alla libera iniziativa, riconducendo tutto a un non ben definito diritto allo studio, dimenticando che il diritto si accompagna sempre a un dovere.
Un lungo periodo di tanti diritti e di pochi doveri ha dato il via a una diffusa confusione di ruoli e di competenze, permettendo che potesse interferire anche chi non era attrezzato a farlo, creando in tal modo varie forme di antagonismo. In questo clima ha trovato posto anche chi pensava che i figli fossero sempre bravi e che gl’insegnanti fossero dei nemici da controbattere. Oggi ne paghiamo le conseguenze: genitori che picchiano insegnanti, ragazzini che menano docenti maschi e docenti femmine, indistintamente, scuole che cadono a pezzi con conseguenze gravissime, varie forme di bullismo. La scuola sta diventando un teatro di guerra nell’indifferenza generale. Mentre la politica si sfida a duello per chi la spara più grossa, forse pensando che gl’italiani non abbiano un cervello per pensare, due occhi per vedere e due orecchi per ascoltare, il sistema educativo generale va in pezzi e questo fa davvero pensare, perché il futuro è quello che stiamo costruendo con le nostre mani, con il tipo di esempio che sappiamo offrire, soprattutto ai giovani.
Imparare la storia significa prima di tutto rispettarla, riconoscere ciò che ha rappresentato e che rappresenta, ma il compito di chi comanda è quello di risolvere i problemi, di dare risposte precise, di evitare le ambiguità, di mettere ogni cosa al suo posto, di fare in modo che l’educazione torni a pieno titolo in famiglia, nelle scuole e nella società civile, senza lasciare che l’anarchia prenda il sopravvento e distrugga tutto quello che è stato fatto dal dopoguerra ad oggi.
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