(O) Mantieni pure l’impegno di non prendere posizione, in queste pagine, per un partito politico, ma facci capire se vedi una via d’uscita da questa tempesta di confusione in cui tutti o quasi ci troviamo, a pochi giorni dall’impegno morale di votare.
(S) Tanto lo sappiamo lo stesso per chi voterai.
(C) Prendo spunto da un passo che ho trovato molto suggestivo, l’introduzione della relazione di Luca Antonini alla Scuola diocesana di formazione politica (Quarto incontro).
Ve la riporto integralmente.
“Hannah Arendt, in un breve manoscritto contenente gli appunti per una lezione tenuta nella
primavera del 1955 all’Università della California, scriveva: “Il deserto avanza, e il deserto è il
mondo nella cui congiuntura ci muoviamo (…). Il rischio è che diventiamo veri abitatori del
deserto, e che lì ci sentiamo a casa. L’altro grande rischio è dovuto alla possibilità delle tempeste
di sabbia”.
“Il deserto avanza” era la celebre espressione con cui Nietzsche, nello Zarathustra, dopo aver
rivelato la morte di Dio, accusava l’avanzata del nichilismo in un mondo che aveva smarrito il
significato. Hannah Arendt, riprendendone l’espressione, imputa così al filosofo che per primo
aveva colto il crescere del deserto, di avere commesso l’errore decisivo di “dichiararsene abitante
consapevole senza cercare l’uscita, restando così vittima della sua intuizione più terribile”
Noto che la metafora del deserto, usata da Nietzsche più di cent’anni fa è diventata clamorosamente attuale: che cos’è, se non deserto, l’assenteismo elettorale, la logica del sospetto, la delega alla magistratura dell’interpretazione legislativa in modalità estensiva e soprattutto l’abbandono di luoghi reali di educazione culturale e quindi di consapevole formazione del consenso a vantaggio della chiacchiera, del mugugno, dell’insulto gratuito che pullulano sui social media? Ma, differentemente da noi, che ci pensiamo incolpevoli, Arendt imputa al filosofo e quindi a noi la colpa di accettare la situazione senza cercarne una praticabile via d’uscita.
(S) La via d’uscita sarebbe stata la riforma costituzionale bocciata dal referendum, anche col tuo assenso? Un anno fa non la pensavi così.
(C) Non ho cambiato parere, semplicemente pensavo che, riprese in mano bocce e boccino, i partiti avrebbero fatto una legge elettorale decente, non importa se maggioritaria o proporzionale, e avrebbero messo al centro del loro programma elettorale una chiara proposta di riforma istituzionale.
(S) Beata ingenuità. Invece hanno fatto un pastrocchio che ha il solo scopo di assicurare l’elezione di fedelissimi del capo, in un contesto di deliberato fallimento della possibilità di avere una chiara ed omogenea maggioranza governante, perdendo anche l’unico beneficio dato dal vituperato ‘porcellum’, almeno alla Camera.
(O) Il fatto è che dal momento del fallimento del referendum e delle dimissioni di Renzi i partiti hanno iniziato a pensare esclusivamente, peraltro con scarsa fortuna, alla massima utilità elettorale con il minimo sforzo, brandendo l’arma del populismo, grezzo come quello sul tema immigrazione o raffinato come la legge sul biotestamento. Anch’io ho cercato invano accenni alla questione istituzionale nei programmi dei partiti. Eppure le questioni lasciate in sospeso sono tante e importanti, dall’autonomia regionale al limbo in cui versano le province, alle difficoltà dei piccoli Comuni, sia a gestirsi in proprio sia ad approdare all’unione di servizi e alla vera e propria unificazione. Queste sì che sono tempeste di sabbia nel deserto. Un sindaco mi faceva l’esempio della Comunità Montana di cui il suo comune fa parte: quello che un tempo era l’ente che consentiva la realizzazione di importanti progetti sovraccomunali e la gestione economicamente sostenibile di servizi pubblici è oggi ridotto a luogo di scontro e di veti incrociati non più su base politico-ideologica, ma semplicemente geografica, nell’interesse di un singolo o di pochi comuni alleati per ragioni contingenti e non certo politiche.
(C) Questo è un bell’esempio di quel che intendo per ‘deserto’. Riprendo una frase dalla citazione: ‘l’avanzata del nichilismo in un mondo che aveva smarrito il significato.’ Ci si perde nel deserto perché mancano i punti di riferimento, nel mondo dei valori perché mancano i significati, parole espressive della differenza tra una cosa ed un’altra, della differenza specifica, direbbe un filosofo o uno scienziato. Ma il luogo dove si formano e si mantengono i significati non è certo la politica, tanto meno lo Stato come istituzione. A ben guardare nemmeno la società civile nel suo insieme, che ne è piuttosto il contenitore; sono quelle libere aggregazioni che chiamiamo corpi intermedi.
Che cosa sono? Tutto ciò che nasce e corrisponde alla natura socievole dell’uomo, dalla famiglia all’impresa, dalle associazione di interesse, per esempio i sindacati o le mutue volontarie, alle fondazioni culturali o di beneficienza, dagli ordini professionali alle università, ai mezzi di comunicazione, tradizionali o basati sulla rete. E’ il mondo della sussidiarietà, che con questo nome è stato finalmente, da non molti anni, riconosciuto e valorizzato dalla Costituzione.
Potremmo considerare i partiti come corpi intermedi di secondo grado, quello che raccoglie la ‘produzione di significato’ degli altri livelli, più particolari ma non inferiori, e lo intermedia nei confronti dello Stato e delle sue articolazioni. La fine delle ideologie avrebbe dovuto liberare i partiti dalla pastoia di essere in proprio i produttori di significato, (il partito come l’intellettuale organico teorizzato da Gramsci e attuato dal Pci e dai suoi successori almeno fino a Bersani), ma il pesante indebolimento degli altri corpi intermedi rispetto all’individualismo galoppante ha fatto sì che ad essi non arrivino significati, ma solo esigenze, meglio: pretese.
La crisi della politica non è nient’altro che la resa di tutti i corpi intermedi all’individualismo che si manifesta in modo patologico nell’incapacità della forma-partito di accogliere e valorizzare i significati emergenti nella società, se non nel modo più rozzo e strumentale che chiamiamo ‘populismo’.
(S) Non puoi negare, però, che ci sono buone ragioni per cui questo è accaduto. Guarda all’evoluzione della Chiesa stessa, che da tempo ha rinunciato ad identificarsi di preferenza in un solo partito e piuttosto cerca di influenzare tutto il mondo politico, proponendo esigenze e possibili soluzioni, ma non una identificazione e ormai nemmeno una preferenza per questo o quel partito. Questo vale per i sindacati, quasi tutti, per le associazioni imprenditoriali. La prima ragione rimane la delusione per la disonestà, poi viene l’incompetenza e la mancanza di visione, alla fine la conseguenza è la crisi identitaria del partito, cui non vuoi più concedere deleghe. Così arriviamo alla richiesta di modifica costituzionale dei 5Stelle e, paradossalmente di Berlusconi, di togliere dalla Costituzione il divieto di vincolo di mandato.
(O) Ti faccio notare che questo rafforzerebbe i partiti, specialmente i partiti-azienda come i loro, nonostante M5S sostenga la tesi della disintermediazione, con l’argomento che gli eletti diventerebbero meri esecutori della volontà degli elettori, consultati via internet su ogni argomento. Con questo verrebbe superata la difficoltà della attuale incapacità dei partiti di essere corpi intermedi nel senso descritto da Costante. Un altro modo di saltare l’intermediazione è quello tentato dal Popolo della famiglia: un soggetto sociale, che in altri momenti si sarebbe costituito solo come corpo intermedio, deluso dai partiti attuali, prova la scorciatoia di farsi partito con una forte accentuazione di alcuni valori, che diventano programma esclusivo.
(C) Questa scorciatoia non è utile. Intanto difficilmente un partito monotematico riesce a convincere una massa consistente di elettori, specialmente se non entra in una coalizione. Non è utile soprattutto al bene comune, neanche se ottiene un modesto successo, perché aumenta la frammentazione, già oggi pericolosamente alta in quanto fonte di litigiosità.
(S) Insomma sei contrario alla democrazia diretta, come lo sei stato alla riforma costituzionale che aboliva le complicazioni del bicameralismo e del regionalismo; non sarai solo un nostalgico della prima repubblica e del tuo scudo crociato, che ti piacerebbe vedere rinato?
(C) A questa domanda non rispondo, per non tradire una promessa di disimpegno da affermazioni elettoralistiche usando questo mezzo di comunicazione.
Tornando alla premessa, sono sicuro che l’attraversamento del deserto sia ancora possibile, facendo tappa nelle oasi, prima di giungere alla meta.
Fuori dalla metafora, per passare dalle reazioni individuali, opinioni contingenti e conflittuali a visioni organiche di bene comune occorre avvalersi dello strumento del dialogo, che non è realizzabile senza luoghi culturali, ma anche fisici di incontro e di confronto: la grande varietà di ‘corpi intermedi sociali’ che ridiano sostanza di visione e di programma ai ‘corpi intermedi politici’, che a loro volta potranno usare dei poteri legislativo ed esecutivo in modo coerente con i propri ideali senza essere autoreferenziali, nel rispetto delle differenze, ma con un comune desiderio di giovare alla Nazione intera.
E se proprio volete che confessi una vena di nostalgia, devo ammettere di aver partecipato, negli anni difficili tra il 1975 e il 1982, quando la crisi economica chiudeva le fabbriche e le Brigate Rosse insanguinavano le piazze, a un momento di collaborazione tra forze politiche affatto diverse, che fu chiamato di ‘solidarietà nazionale’ e consentì di attraversare un deserto ancora più ostile di quello in cui ci troviamo ora.
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