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Attualità

AVERE FIDUCIA SI PUÒ

GIANFRANCO FABI - 23/02/2018

futuroIn questa disarmante campagna elettorale l’immagine dell’Italia è sempre più offuscata dai cultori del malumore, tesi a rappresentare un Paese che ha bisogno di cambiare completamente rotta. Ma il risultato sembra essere quello di far diminuire ancora di più la fiducia verso una classe politica che si dimostra complessivamente inadeguata e non si accorge di ridurre sempre più il confine tra le promesse e le illusioni.

E i veri problemi, certamente non facili da affrontare, restano sullo sfondo. Per esempio il fatto che siamo un paese invecchiato nei numeri, con una percentuale di anziani sempre più alta per il doppio effetto della scarsa natalità e dell’allungamento della speranza di vita.

Due fattori che tuttavia disegnano opposte dimensioni della realtà.

Da una parte il crollo delle nascite (siamo ormai sotto quota mezzo milione all’anno, la metà degli anni ’60) è il segno evidente di una società frammentata, chiusa in se stessa, incapace di relazioni solide, una società in cui prevale l’individualismo, la tensione al presente, la scarsa speranza verso il futuro.

Dall’altra l’innalzamento della vita media (siamo vicini al record mondiale dei giapponesi a oltre 82 anni) è dimostrazione di una buona qualità di vita, di un sistema sanitario efficiente, di condizioni favorevoli anche dal punto di vista psicologico e ambientale.

E in realtà il malcontento è più nella rappresentazione che nella realtà. Tanto che secondo una recente indagine “il 78,2% degli italiani si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della vita che conduce”.

Ma se è vero che il pessimismo può avere tante ragioni, è altrettanto vero che abbiamo fondati motivi per ritenere che i cultori del malumore non ce la raccontino del tutto giusta. E non solo perché dobbiamo e possiamo opporre, secondo la più classica delle definizioni, l’ottimismo della volontà, ma soprattutto perché vi sono fatti, dati, evidenze statistiche, rilevazioni sociali che danno dell’Italia l’immagine di un Paese molto più vitale, competitivo, dinamico, di quanto venga costantemente dipinto. Un Paese che ha mille problemi, ma che ha anche una grande capacità di resilienza, una capacità di adattarsi alle circostanze sfavorevoli, di trarre dai limiti delle opportunità.

Gli elementi su cui ricostruire la speranza di uno sviluppo economica e sociale non sono né pochi, né poco importanti.

C’è innanzitutto la crescita complessiva dell’economia con un Pil stimato sia lo scorso anno sia quest’anno con un +1,5%, ancora più lento della media europea, ma comunque confortante se si considerano gli anni della stagnazione.

All’interno di questo sviluppo del Pil spiccano la crescita dei consumi interni e quella degli investimenti privati. I primi trainati dallo sviluppo dell’occupazione e quindi dall’aumento complessivo della massa salariale. I secondi spinti dalle migliori condizione dei mercati e dall’effetto positivo delle misure di incentivo varate con il nome di industria 4.0.

Ma sono particolarmente positivi anche i dati sulle esportazioni. Nel dicembre scorso l’avanzo commerciale ha superato i 6 miliardi di euro, il dato più elevato dal dicembre 1993, un segnale positivo anche perché bisogna tener conto che nelle fasi di ripresa tendono a crescere anche le importazioni. In settori come il tessile, l’abbigliamento, quello del cuoio-calzature l’Italia è al primo posto nella classifica della competitività internazionale dell’International Trade Center di Ginevra. Ma una posizione subito alle spalle della Germania si riscontra anche nei settori dei manufatti di base, delle apparecchiature elettriche, della meccanica e dei mezzi di trasporto (non solo auto, ma anche elicotteri e navi da crociera). Il surplus della bilancia commerciale italiana è al quinto posto al mondo dopo Cina, Germania, Russia e Corea.

L’industria italiana, salvo poche eccezioni, non può contare su di un ambiente in cui venga promossa la ricerca scientifica e tecnologica. Ma ha due aspetti legati indirettamente all’innovazione: da una parte la creatività, dall’altra il gusto del bello. La moda, il design, le tipicità eno-gastronomiche non sono solo slogan, ma fanno parte della cultura produttiva del Paese.

Un effetto non irrilevante del ritorno alla crescita del Pil è dato dall’aver messo sotto controllo la stessa dinamica del debito pubblico. La novità degli ultimi mesi è infatti che il tasso di crescita del pil ha raggiunto il tasso di crescita del debito. Continuare su questa strada virtuosa è uno dei compiti principali della prossima classe politica.

Le prospettive appaiono particolarmente positive sul fronte del turismo con una crescita a doppia cifra degli arrivi e delle presenze degli stranieri. Crescono soprattutto le residenze extra-alberghiere segno che hanno avuto successo molte piccole iniziative di b&b e agriturismi che sono sorti un po’ in tutto il Paese. Le ragioni di questa crescita sono, sul fronte interno, la maggiore capacità di spesa delle famiglie e l’aumento della componente anziana che dispone ovviamente di maggior tempo libero (il pensionato come sinonimo di povero è uno stereotipo che appartiene al passato). E sul fronte estero l’estensione dei voli low cost e l’apertura di nuovi mercati come quello cinese mentre le tensioni politiche in paesi del Mediterraneo (come l’Egitto o la Tunisia) hanno fatto cambiare rotta a molti flussi turistici.

Un altro fattore importante è la forza del terzo settore. Non solo volontariato, che pure garantisce quella coesione sociale che è indispensabile per qualunque processo di crescita della società, ma anche le dimensioni, che possono raggiungere livelli di altissima professionalità, all’interno di enti non profit. Per esempio in campo della sanità e della riabilitazione vi sono significativi punti di eccellenza. La nuova legge sul terzo settore, varata lo scorso anno e in fase di progressiva attuazione con i decreti ministeriali, potrà dare un nuovo impulso a queste attività soprattutto per la possibilità degli enti, che fino ad ora si sono chiamati onlus, di svolgere attività prettamente commerciali e quindi di aprirsi alle logiche di concorrenza e di efficienza del mercato.

Vi sono poi dimensioni di cui va valorizzata l’altra faccia della medaglia rispetto alla narrazione corrente, una narrazione che mette in risalto i fattori di crisi e quasi dimentica gli elementi positivi. Il riferimento va innanzitutto alle banche. Si è parlato molto degli alberi che sono caduti, delle piccole e medie banche salvate dal fallimento, si è parlato meno della foresta che cresce, cioè delle piccole, medie e grandi banche che hanno continuato a fare il loro dovere. E’ vero: le banche italiane hanno uno quota di crediti deteriorati, di non performing loans, superiore a quella media delle altre banche europee. Ma hanno una quantità infinitamente inferiore di derivati e di titoli tossici nei loro bilanci. E hanno mantenuto un contatto con il territorio che non è solo clientelismo e complicità, ma è soprattutto capacità di conoscere le imprese e chi le guida, di avere il polso sulla dinamica sociale ed economica.

Ci sono quindi molte ragioni per avere fiducia nel futuro. Il rischio maggiore a questo punto è quello di farsi del male da soli.

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