Stupore e meraviglia: sono le parole d’ordine dell’ultimo, ma solo in ordine di tempo, libro del francese Edgar Morin, ultranovantenne sociologo e filosofo, nonché pedagogista.
Lo stupore e la meraviglia sono anche miei, nel constatare che un uomo che possiamo definire senza offesa alcuna “vecchio”, apre gli occhi sul mondo con la grazia e la freschezza di un bambino.
Mi ha commosso leggere l’incanto con cui si accosta all’ignoto, a piccoli passi, passi che immagino si facciano di giorno in giorno più lenti e più misurati.
Sorprende leggere che ha occhi che riescono ancora a guardare con il fiato sospeso la luna nel cielo notturno, che contempla con il batticuore gli ammassi di stelle come era successo, due secoli prima al giovane, giovanissimo al confronto, Giacomo Leopardi.
Ma non c’è ombra di pessimismo cosmico nelle parole di Morin. Bensì una felicità quasi pudica nel sentirsi vivo, nel godere del sole, nel camminare, ogni mattina come se fosse la prima e non, magari, considerata l’età, l’ultima.
Restituisce speranza, in questi giorni di sgomento per la inarrestabile diffusione del male (o Male?), quando tocca confrontarsi con episodi di violenza, di indifferenza, con cadute e ricadute nella volgarità divenuta modello di comportamento diffuso, registrare la grazia con cui un uomo alle soglie dei cent’anni racconta lo stupore che lo afferra nel ritrovare, dentro un melone, i semi tutti ammassati, o dentro la pesca, ben protetto, il “suo” nocciolo. Cose che ha già osservato altre volte, negli anni della sua lunga vita, ma oggi è il miracolo del loro allineamento dentro il frutto, che lo smuove in profondità.
Affascina sempre, il vecchio Morin, che avevo già apprezzato come educatore, quando posa sulle cose a lungo frequentate uno sguardo che contiene riconoscenza per l’ignoto a cui non sa ma non vuole dare nome.
Un grande intellettuale sa trovare parole semplici e comprensibili, come “Io ho forte il senso dell’invisibile nascosto in ciò che vediamo” mentre realizza una felice comunione tra filosofia, scienza, poesia e letteratura: un vero miracolo educativo.
Anche quando, dall’amore per le cose passa a quello per gli uomini. Ognuno di noi è parte dell’umanità e della sua storia: Morin percepisce con forza questo sentimento di condivisione con tutti coloro che nei secoli e nei millenni si sono avvicendati sulla terra. Ciò che prova è già stato provato da tante menti in tante civiltà; ciò che percepisce è l’appartenenza a una comunità di esseri che si portano appresso “una verità segreta” non ancora svelata.
Morin non attribuisce un senso compiuto all’universo: ordine e disordine, armonia e disarmonia, concordia e discordia, questo vede Morin che ha rinunciato a cercare quelle leggi universali che fornirebbero LA risposta. Incurante del lavorio ininterrotto di tanti scienziati alla ricerca dell’algoritmo supremo che spieghi l’universo, non sa se si possa dare un nome al divino.
Me lo vedo, il vecchio Morin, che per sua stessa ammissione passa le ore immerso nella lettura di riviste scientifiche e di opere di ogni genere sui prodigiosi progressi scientifici delle conoscenze. Consapevole che più aumentano le conoscenze, più cresce il mistero.
Come Dostoevskij che riconosceva la vita come mistero, dichiara Morin:“Mi occupo di questo mistero poiché voglio essere un uomo”. Come S. Giovanni della Croce, anche lui si richiama alla presenza di “una nube tenebrosa fuori dalla nostra portata”.
Conoscenza ignoranza mistero di Edgar Morin – Raffaello Cortina Editore.
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