In politica è difficile, se non impossibile, avere l’obiettività. Ancora più difficile è costruire delle analisi che non risentano del proprio bagaglio, del proprio patrimonio culturale e di questo non sono certamente esenti neanche gli studiosi, in primis gli scienziati della politica.
Dunque, io che sono un politico faccio ammenda prima non per anticipare le critiche, ma per mettere in evidenza tutti i limiti di quanto vorrei provare a porre al centro della mia riflessione.
Noi stiamo avvicinandoci al voto con un sistema elettorale per due terzi proporzionale e con una piccola correzione maggioritaria determinata dalla presenza di collegi. In estrema sintesi questo è il modello elettorale con cui siamo chiamati a votare il prossimo 4 marzo.
Nelle ultime settimane si è assistito al “dramma” delle candidature o meglio al consueto rito, per l’individuazione dei candidati da inserire nei collegi maggioritari e nei listini proporzionali bloccati e quindi nella indicazione di chi, di fatto, è sicuro di essere eletto e di chi, viceversa, farà consapevolmente solo testimonianza.
Nei partiti più strutturati, a queste dinamiche, si sono inserite anche le polemiche relative al tema della rappresentanza plurale e cioè della necessità di garantire a chi non è “maggioranza” nel partito una quota rispettabile di propri candidati.
Aggiungo un ultimo aspetto comune a tutti. L’ampia delega data o presa (sarebbe meglio dire) dal leader per la composizione delle liste.
La composizione delle liste è sempre stata qualcosa di particolarmente complicato, lo è divenuto maggiormente quando i partiti sono diventati più dei comitati elettorali e quando la personalizzazione si è impossessata delle strutture e le ha trasformate in docili (più o meno) organismi in mano ai leader riconosciuti come i depositari non di regole democratiche, ma di carismi e poteri taumaturgici.
Dunque, francamente, niente di nuovo sotto questo aspetto rispetto agli ultimi venti anni e soprattutto niente che già non fosse stato denunciato dai mass-media o dai tanti scontenti.
Tutto questo premesso io mi sono fatto una idea un po’ balzana e forse neanche tanto originale.
Credo che con il prossimo 5 marzo chiuderemo definitivamente l’esperienza della c.d. “Seconda Repubblica”, se mai è nata, e proseguiremo in questa nostra transizione infinita verso un nuovo sistema e forse anche verso una nuova forma repubblicana.
Io penso che si arriverà, qualunque sarà il risultato elettorale e cioè sia che vinca il centrosinistra o che vinca il centrodestra o che si faccia la Grosse Koalition in salsa italiana, ad una implosione del sistema politico con un processo di scomposizione e di ricomposizione in primis delle forze politiche e successivamente del sistema politico italiano.
Io penso che questo avverrà perché i partiti così come li conosciamo oggi sono esausti ed esauriti nelle loro dinamiche e nella loro capacità di rappresentare elettori, interessi e ceti popolari. Penso che questo avverrà perché occorre dare delle nuove regole di democrazia all’interno e una nuova struttura organizzativa capace di uscire anche dalle dinamiche che negli ultimi anni ci hanno portato a sostituire partiti ideologici con partiti personalizzati in mano a leader carismatici.
Penso che in questa tornata elettorale nessuno sarà vincitore e questo a me pare lo scenario più probabile, ma anche quello che potrebbe dare la spinta maggiore ad uno scenario di cambiamento, ma penso anche che questo potrebbe comunque avvenire anche con un vincitore tra centrosinistra o centrodestra mentre, se dovessero vincere (ipotesi alquanto improbabile nel senso di riuscire a costituire un governo) i grillini il sistema rigetterà con i suoi anticorpi questa esperienza ed andremo, dopo magari mesi di totale instabilità, ad un governo del presidente per rifare le regole e andare al voto.
Io penso che lo scenario politico che andrà a disegnarsi anche frutto di una legge elettorale che sta presentando tutti i suoi limiti sarà fortemente condizionato dalla necessità di riscrivere regole e prassi che riguardano non solo la legge elettorale, ma anche le dinamiche interne dei partiti e quando scrivo di questo penso a quei processi di democrazia e di selezione della classe dirigente che si riflettono poi sempre sui modi di governare le Istituzioni e il Paese.
La legge elettorale è quello che è per effetto di veti e reciproche concessioni nate sulla base delle sentenze della Suprema Corte.
Il tema di fondo su cui è nata e cioè conciliare stabilità e rappresentanza è stato risolto in modo che certamente non porta argomenti a favore della prima esigenza.
Ma va anche detto che questo è il frutto del mancato successo del referendum costituzionale e delle conseguenze che ne sono scaturite.
In termini essenziali l’abbandono della logica maggioritaria, così come l’avevamo conosciuta negli ultimi venti anni, e il ritorno, quasi a furor di popolo, del sistema proporzionale, ma vede anche il ritornare da protagonisti di due aspetti tipici della politica del passato: le necessarie mediazioni per andare a costruire un nuovo governo e, secondo, il fatto che le alleanze si determinano dopo e non prima perché le elezioni in epoca di proporzionale servono a sondare gli elettori per avere da loro l’orientamento di dove le forze politiche in parlamento devono andare e con chi.
Ovviamente questo porta ad un altra riflessione conseguente. Sulla base di quali programmi le forze politiche si uniscono? E quali reciproche concessioni saranno in grado di fare?
Dunque mediazioni di nuovo in campo e, io credo, conseguente nuovo ruolo da giocarsi dei c.d. corpi intermedi e quindi nuovo ruolo delle parti sociali. Nuovo ruolo rispetto ad un passato immediatamente recente che li ha visti abbastanza ai margini, ma anche nuovo ruolo perché anche i corpi intermedi si dovranno rinnovare rispetto ad una loro perdita di consenso e di capacità che si è prodotto in questi anni dopo il periodo d’oro della concertazione terminata negli anni novanta.
Tenuto in conto di questo possibile scenario io credo che con il prossimo 5 marzo si chiuderà una stagione politica e se ne aprirà un’altra completamente nuova anche se pur con aspetti antichi, ma anche che si procederà nella nostra transizione infinita apertasi negli anni novanta ad una nuova definizione degli assetti politici i quali non potranno più essere quelli conosciuti fino ad ora e forse neanche quelli che entreranno nel parlamento del 4 marzo, ma che si evolveranno perché ci sarà una scomposizione ed una ricomposizione in termini nuovi e diversi. Con un problema in più e questo tutto da definire e da capire. In un assetto proporzionale il leader carismatico, il partito personale non ha possibilità di sopravvivere. Occorrono assetti e regole nuove anche nella definizione dei partiti, della loro capacità di definire e di promuovere la classe dirigente e di come questa viene selezionata. E non è solo un problema di consenso.
Roberto Molinari, Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Varese
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