Quelli della politica affermano di fare politica ma si limitano alle parole, perché di fatto la distruggono incapaci di viverla onestamente col cuore. Agli occhi della gente sembrano quelli che la dominano.
Vedo molti che sono convinti di fare buona politica impegnandosi a fondo in una azione di autoreferenzialità, di promozione della propria figura con tutti i mezzi, a tutti i costi, anche commettendo scorrettezze, provocazioni, aggressioni ideologiche, anche denigrando, irridendo il pensiero altrui, senza concreto rispetto dei disagi e delle sofferenze della gente, concentrati su tutto ciò che attiri l’attenzione dei mass-media e valorizzi il loro apparire. Nel bene e nel male è importante che gli occhi di tutti siano rivolti su di loro e su quello che loro considerano “azione politica”.
Per loro il politico deve opporsi a quelli degli altri partiti o movimenti a prescindere, di qualunque tipo siano i pensieri, le proposte, i suggerimenti degli altri, anche contro la logica. Tutto quello che è detto o proposto dagli altri è “foffa, stolidezza”. Solo il suo pensiero va bene, ma ha la necessità d’essere padrone della retorica utilizzandone i numerosi filoni: abbiamo così la retorica del populismo, quella del razzismo, quella antireligiosa ma anche quella di una religione egoista e primitiva (quindi non reale), quella anti europeista, quella anti euro, quella laicista, quella della famiglia difesa a parole ma di fatto oltraggiata da infedeltà e da più matrimoni, quella delle false promesse, delle radici culturali, della superiorità della razza bianca, e molto altro. Importante saper cavalcare anche la pericolosa tigre delle tifoserie sportive. Tutto serve a far brodo.
Praticamente sono convinti che il buon politico debba “essere sempre in campagna elettorale”, anche quando le elezioni sono lontane. Alla base c’è il concetto che le opere degli altri sono banalità mentre tutto ciò che loro fanno merita attenzione; e così, ad esempio, quando camminano per la strada ci deve essere una video camera che li riprenda. Loro lavorano anche lì, in strada e anche lì pontificano sempre. Il politico, in perpetua attivissima azione promozionale, non è mai insulso: lui è l’eroe che si sacrifica per tutti, per la famiglia, per il rione, per la città, per tutto il territorio. Se è in un ufficio in mezzo ai colleghi lui è quello che spicca. Quando va in Chiesa, se ci va, devono saperlo tutti. Lui difende la scienza anche se non ne sa nulla e, a seconda della convenienza, è contro i vaccini, ma può anche velocemente sostenerli. Lui difende la scuola, anche se non sa come è organizzata (molti l’hanno frequentata poco), ma appare sempre quando gli studenti manifestano o i prof si agitano. Lui è il classico tuttologo, ma il suo modo di parlare, il suo uso dei vocaboli, la sua pronuncia, la sua foga sono lontani dalla logica dei politici del passato, uomini più razionali. Ora il politico deve apparire educato, ma se necessario deve usare il turpiloquio, mandare “a fa …”, non disdegnare gesti volgari ed offensivi.. Deve ignorare la riservatezza, apparire “a modino” ma coltivare anche la sguaiataggine, l’enfatico, il paradossale se necessario. Deve pronunciare frasi che affascinino i giornalisti alla caccia del sensazionale, dire frasi che scandalizzino, magari con gesti osceni. Affascinare la “casalinga di Voghera”, come molti di loro definiscono le madri di famiglia.
Si, ma quelli per cui lui si dovrebbe dar da fare dove sono? Loro, il vero compito, il motivo, il fine dell’ azione politica? No! Loro sono i portatori di voti e servono per quello. La preoccupazione è che loro votino per lui, il protagonista politico. I loro bisogni sono niente. I loro problemi vengono nominati e sottolineati per convincere a votarlo, anche facendo promesse incredibili ed evidentemente false.
Siamo ben lontani dal concetto secondo cui la politica è una delle forme maggiori in cui si manifesta la carità. Concetto ignorato, irriso come irriso fu un povero maldestro politico che in una assemblea parlò d’amore per i cittadini. Contano solo le strategie efficaci al fine politico: ma quale? Saper provocare l’avversario, deriderne il pensiero, i concetti; sfiorare l’offesa; battersi in eterne discussioni uscendone vincitori.
Il buon politico deve non saper mantenere la parola data, ma lui non è un bugiardo, sia chiaro. Deve saper non essere fedele, ma lui i patti li rispetta. Deve saper imbrogliare, ma lui è onesto. Deve saper difendere e proteggere le “lobby” facendo credere di combatterle. Deve urlare contro le mafie, ma coccolandole: portano voti. A seconda dei momenti deve saper essere anticlericale, criticare i vescovi, ma inneggiare agli insegnamenti di Papa Francesco, troppo amato dai semplici elettori.
Sa tagliare le gambe agli altri per dare posti vantaggiosi ai suoi e non gliene frega niente dei disagi delle vittime. Importante la carriera dei suoi che gli daranno senz’altro un ritorno. Di contro quando è necessario si passa anche sulla pelle degli amici, se si ha un vantaggio maggiore. Si dice che questo è il costo della politica. Il politico è amico di tutti e di nessuno, questo sia chiaro, e chi gli fa uno sgarro la paga, ovviamente senza violenza, ma viene tagliato fuori dai giochi, viene distrutta la sua azione, magari anche se questo danneggia il partito: ma lui la paga…
Siamo lontani dal sogno dello statista, pronto a donarsi, pieno di saggezza e di alta cultura, quindi in grado di far politica vera e vantaggiosa per tutti.
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