Chissà come: alcuni aspetti di questa campagna elettorale – ormai siamo quasi alle strette – fanno venire in mente le trovate di quel mercante romano, di duemila e passa anni fa, che fuori della sua bottega gridava: Regalo un cavallo! Regalo un cavallo! A chi compra quest’oca che costa diecimila sesterzi! E qualcuno abboccava, pensando di raggiungere un ottimo affare, sopraffatto da un giochino psicologico vecchio come il mondo.
La tecnica del raggiro è tipica (probabilmente) di ogni “vendita” e di ogni elezione. Il fatto che preoccupa, però, è che molta gente ci continui a cadere e che, quasi, provi piacere nell’essere ingannata e, appunto, raggirata, come il cliente del mercante romano dei tempi avanti Cristo.
È una specie di volontà masochistica. Non si spiegherebbero altrimenti i sondaggi diffusi a mani basse in queste giornate che precedono il voto. Non si salva nessun partito-mercante: dall’anziano Berlusca che si ripropone alla platea con le stesse idee e manifestate (e mai concretate) di venticinque anni fa; all’esponente-major del partito del governo uscente, Matteo Renzi, che parla di abolire il canone della Rai, cosa che equivarrebbe oggi a abolire la Rai stessa; all’ “esordiente” pentastellato che nel suo pressoché totalmente irrealizzabile programma (e i giornali ci fanno su anche il titolo) annuncia: Non faremo il referendum per uscire dall’euro; che sarebbe come dire: Non faremo il referendum per stabilire che col semaforo rosso, a un incrocio, ci si deve fermare e con il verde, invece, si debba passare…
E gli elettori abboccano: chi all’amo dell’uno chi dell’altro. Molti, anche in questa campagna elettorale, si sono sgolati perché venissero rilevate le contraddizioni, le falsità, le vaghezze e le inutilità delle promesse, di quasi tutte le promesse. E non è nemmeno la prima volta. Acqua sul marmo.
Ma c’è un’altra cosa che viene spontaneo da domandarsi: perché tanti (presidente della Repubblica compreso) continuino a sollecitare i cittadini a votare, a recarsi sempre alle urne per adempiere a quello che si considera essere un dovere civico. E lo è – anche Costituzione alla mano (art.48) – ma da più di vent’anni non è un obbligo, e già alcuni padri costituenti di ispirazione liberale volevano considerarlo come tale, e l’assenza eventuale non viene più “punita” né segnalata.
Il “pericolo” che una percentuale vicina al cinquanta per cento si astenga dal voto (e poi: andare al seggio e deporvi la scheda bianca, cosa ammessa e giustificabilissima, o non andarvi affatto è la medesima cosa) è reale.
Non si pone mai mente al fatto – inganni promessi e annunciati o no – che un’ampia parte dell’astensione rappresenti una protesta. Chiara, evidente. Finora essa s’è manifestata con il non voto. Non è escluso, purtroppo, che essa possa essere canalizzata diversamente e con conseguenze gravi per la libertà e per la democrazia. Cioè: ci si rende conto del “grande partito dell’astensione” quasi sempre all’indomani di ogni elezione, quando si eleggono commenti del tipo: Il partito dell’astensione si gonfia sempre di più, è un problema su cui tutti (tutti) dovremmo riflettere…
Poi, passato qualche giorno, nessuno dice più un bao. Non solo: partiti (o movimenti) che hanno conquistato il trenta per cento di un cinquanta per cento di elettorato avente diritto, vale a dire un quindici per cento, si presentano in Tv e sui giornali affermando di essere i rappresentanti dell’intero popolo italiano.
C’è qualcosa che non va. A bugia si assomma bugia, per di più evidentissima. Altri, fregandosi le mani, doveri civici a parte, dicono addirittura che gli assenti hanno sempre torto. Beh, non è affatto così.
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