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Nonno di frontiera

PASSERESTE A PRENDERMI?

GUIDO BELLI - 26/01/2018

nonnoIncombenza dei nonni è mettersi a disposizione per scorrazzare i nipoti di qua e di là.

È comune vedere nonni in servizio attendere che i nipoti sbuchino dal cancello della scuola, finiscano l’ora di sport o non ne possano più di dondolarsi ai giardinetti.

Al nonno di frontiera succede la stessa cosa. Con alcune differenze.

L’altra notte nostra figlia chiama.

Ne segue: i nonni, ormai a letto, si sciolgono in brodo di giuggiole e, incollati allo schermo dell’iPhone, fanno alla nipote più piccola smorfie e boccacce per farla ridere. Quella guarda lo schermo del telefono di sua madre e risponde imitando. Di qui si tira fuori la lingua, e lei tira fuori la lingua; di qui si fa il verso dei Sioux ululando con la mano sulla bocca, e lei ripete; noi “Ma che bei capelli biondi che hai!”, lei si mette le mani nei capelli, incurante del fatto che è anche intenta a mangiare pasta al pomodoro, con le mani. Insomma, praticamente un dialogo tra primati, uno dei quali con una acconciatura punk.

Approfittando dell’idillio, nostra figlia annuncia la sua intenzione di tornare in Italia la prossima estate.

Sono orgoglioso di come l’abbiamo presa: niente panico, niente reazioni scomposte, serenità olimpica. Nessuno dei due ha risposto di getto con qualcosa tipo: “Ma siete appena venuti l’anno scorso!”. Ci siamo controllati e abbiamo continuato a comunicare i nostri commenti nel linguaggio dei primati.

Devo dire che la cosa non ha funzionato granché, per il fatto che la mamma ha perso l’innata attitudine alla comprensione di quell’idioma primigenio, che invece la figlia ancora possiede. Così, le smorfie e i suoni gutturali sono rimasti per la mamma dei nostri nipoti senza significato, e il messaggio, un esplorativo “Ma sei proprio sicura?”, non è giunto al destinatario.

Lei è quindi andata avanti nel discorso, dando spazio alla vera sorpresa. Serena come un cherubino in contemplazione dello splendore divino, l’adorata descrive nel modo seguente la sua visione del futuro.

Suo marito, dice, nel pieno di un cambiamento di lavoro, non avrà ferie l’estate a venire. Quindi, non potendo programmare una vacanza insieme al consorte, l’angioletto ha pensato bene di ripetere anche nel 2018 l’esperienza del rimpatrio. Questa volta, per forza di cose, lei sola con i bambini.

Nel preciso istante nel quale le conseguenze di questa eventualità hanno assunto consistenza nella nostra mente, la comunicazione ha preso una piega imprevista, passando da un registro tenorile pieno di dignità senile, a quello da soprano, pregno di acuti lamentosi.

Purtroppo il cambio di tonalità è non stato colto da nostra figlia nel suo autentico significato, ma lo ha invece interpretato come una creativa variazione nell’intrattenimento della bimba.

E ha proseguito imperterrita: “Siccome il viaggio è lungo e pieno di imprevisti, io non me la sento di farlo da sola con due bambini piccoli. Non è che qualcuno di voi verrebbe qui, così poi facciamo il viaggio insieme?”.

Praticamente: “Passereste a prendere me e i bambini?”.

Effettivamente il viaggio da e per la California riserva ogni volta qualche sorpresa. Il sistema dei trasporti aerei è molto complesso e basta poco perché qualcosa vada storto. Insomma, con due bambini piccoli, un aiuto può fare la differenza tra catastrofe e salvezza.

Tuttavia, la California è pur sempre un luogo che si trova, più o meno, dall’altra parte del pianeta rispetto all’Italia.

Una cosa è che il nonno prenda l’auto e arrivi a destinazione in un tempo che misura in minuti, carichi chi deve e vada dove serve. Un’altra è partire per andare a San Francisco a raccattare due nipoti e la loro madre. Da Monaco di Baviera ci vogliono 12 ore, che sono un tempo considerevole, se si pensa a quante cose facciamo quotidianamente, per esempio, dalle 8 di mattina alle 8 di sera.

In realtà, una volta fatta l’abitudine e acquisito quel distacco dalla realtà che può dare, per esempio, la meditazione Zen, le ore passano velocemente. Succede che, guardando mentre si è in volo la posizione dell’aereo sulla rotta, ci si ritrovi a pensare: “Beh, abbiamo già sorvolato la Groenlandia, appena 6 ore e sono arrivato”. È un po’ come quando, andando a Milano con le Nord, si alzano gli occhi dal libro e si pensa: ”Oh, già Saronno. Solo 20 minuti per finire il capitolo”.

Quindi il problema del nonno di frontiera non è tanto la distanza, ma ciò che gli genera qualche perplessità è l’idea di andare fino in California con lo scopo principale di tornare indietro insieme a figlia e nipoti.

Delle possibilità per dare un senso al viaggio anche per il nonno di frontiera – per il nonno, perché la nonna è fuori gioco – per altro ci sarebbero. Una ipotesi potrebbe essere che il nonno di frontiera organizzi una trasferta per sé da Malpensa a San Francisco, e poi, raccolti nipoti e figlia, un secondo balzo da San Francisco a, sia detto per puro esempio accademico, Honolulu, che dista “solo” quattro ore di volo. Il nocciolo del ragionamento sarebbe: perché farsi 16 ore di viaggio con due bambini piccoli per arrivare dalla California fino in Italia, e poi andare al mare a, ipotesi, Rivabella di Rimini? Con tutto il rispetto per la riviera romagnola, le Hawaii giocano in un altro campionato. Tra l’altro, un soggiorno al Maui resort & spa sarebbe molto più gradito al nonno di frontiera di una settimana alla Pensione Pineta convenzionata con il bagno Da Augusto.

Ad una analisi puntuale, la proposta regge, perché di fatto ripropone lo stesso schema di azione al quale si accennava prima, con riferimento alla condizione del nonno stanziale: questi va a prendere i nipoti, li porta, putacaso, in piscina, aspetta sbrigando qualche incombenza sul tablet, all’uscita controlla che siano vestiti e che tutto sia stato ricacciato nella borsa, li carica in auto e li scodella a casa loro.

Ugualmente, il nonno migratore vola dai nipoti, li porta alla Hawaii, visita i luoghi già che è lì, ripiglia i nipoti controllando che non siano stati sbranati dagli squali, sale sull’aereo con loro e li scodella a casa. Dettagli a parte, formalmente nonno stanziale e nonno migratore si accollano lo stesso tipo impegno. Il conto torna.

Temo però che il ragionamento non attacchi con la madre dei miei nipoti, perché il piano della questione per gli espatriati è ben diverso. Sono in gioco affetti ed emozioni che non possono essere trasportate da un luogo all’altro.

Gli espatriati vogliono tornare a casa.

Vogliono ritrovare gli amici, far vedere alla bisnonna i bisnipoti; insomma cose di questo tipo. Ma non solo. C’è anche qualcosa di diverso, una sorta di “legame sottile” che vogliono ravvivare.

Ad esempio, mia figlia è così affezionata alla sua parrucchiera di Caronno Ghiringhello che, appena perfezionato con mesi di anticipo l’acquisto dei biglietti, la prima cosa della quale si preoccupa è fissare l’appuntamento per taglio, colpi di sole e messa in piega.

E questo è un atteggiamento diffuso. Una giovane signora, facente parte della comunità di espatriati italiani nella Silicon Valley, ogni agosto torna con i figli dalla California per passare una vacanza a Milano 2, dove abitava prima di partire. Agosto, Milano 2…

È che gli espatriati vogliono tornare per respirare l’aria.

Trapiantare un albero è una operazione delicata e piena di sorprese perché le radici hanno memoria.

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