Nuovi segnali di futura, possibile, smentita e magari obbligata alleanza tra Berlusconi e Renzi all’indomani del 4 marzo.
1) il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, replica davanti ai vescovi quanto aveva anticipato in un’intervista alla Stampa: la Chiesa non sarà mai dalla parte di chi soffia sul fuoco infiammando le paure, atteggiamento che valuta irresponsabile/pericoloso. Dunque: netto rifiuto del populismo, del sovranismo, del postleghismo. Aggiunge all’esternazione un carico: la condanna dei rigurgiti razzisti, con implicito riferimento alle parole del candidato del centrodestra alla Regione Lombardia, Fontana. Tanto che Salvini, bongré malgré, si vede costretto a sollecitare al cardinale un incontro chiarificatore. Ciò che Bassetti non esprime, ma sembra chiaro, è l’auspicio d’un futuro elettorale di pragmatismo nell’interesse degl’italiani. Ovvero: riunione delle buone volontà del fare, esaurita la fase del dire propagandistico, certo meno buona.
2) Berlusconi va a Bruxelles a fare un giro di riaccreditamento europeo. Il Partito popolare l’accoglie con fervore cordiale, e ne afferma/riconosce il ruolo d’argine contro le derive estremistiche. Se la sua riabilitazione istituzionale ancora non c’è (e chissà se ci sarà: dipende dal verdetto della Corte di Strasburgo, prossimamente atteso), di sicuro c’è quella politica. Il passato è alle spalle, l’Ue guarda al futuro. E le incognite inducono a rivedere molti giudizi. Quindi: ben venga il Berlusconi che dovesse essere protagonista in Italia, con prevedibile partner Renzi, del film già sugli schermi tedeschi, dove la Merkel e Schulz stanno inscenando il remake della precedente legislatura: accordo pro governabilità, tagliando fuori i radicalismi, tra i rivali combattutisi nella campagna elettorale.
3) Il centrodestra è un monolite all’apparenza, e per ragioni di raccolta voti. Non nella sostanza. Berlusconi e Salvini sono divisi/spaccati su molti argomenti, la Meloni segue a ruota. Anche nella Lega non tutti la pensano al modo del leader. Maroni non perde occasione per criticarlo, l’ultima uscita (giusto a proposito di Bruxelles e Strasburgo) appare rivelatrice: “Noi siamo per un’Europa diversa, non contro l’Europa”. Anche Zaia, governatore del Veneto che plaude al blitz continentale del Cavaliere, è altrettanto significativo nel tempismo e nella sostanza dell’intervento. Sarebbero accennabili altri esempi. Per tirare quale conclusione? Che, a urne chiuse, il fronte della Lega rischia di rompersi. Una sua parte potrebbe valutare il sostegno a un governo d’emergenza o del presidente o delle grandi intese o di quel che vi e ci pare. L’altra carezzare l’entente coi grillini.
4) Il variegato mondo centrista si propone in modo sparpagliato all’attenzione pubblica, collocato un po’ a destra e un po’ a sinistra. Ma sarà pronto ad accogliere l’appello unitario, quando verrà. Anche perché, evitando di rispondervi, i suoi eletti avrebbero ottime chances di non essere più tali nel caso di voto-bis imposto dall’impossibilità a costituire un esecutivo. Stessa considerazione vale per l’altrettanto multiforme universo alla sinistra del Pd. A molti basterà d’aver fatto perdere Renzi, così saziando l’irresistibile voglia di revanche, a molti altri no. Resiste, per fortuna, un senso del bene comune/un’etica del dovere politico che va oltre gli steccati, i personalismi, le convenienze e all’occorrenza può diventare il valore aggiunto e decisivo della stabilità democratica. È il punto sul quale insistono non pochi democrats, invitando Renzi a toni concilianti oggi, in vista d’un indispensabile accordo domani. Negli ultimi tempi il segretario sembra aver capito che questa è la strada giusta, forse riflettendo su un promemoria storico ben noto nella Chiesa: ceteri ad sapientiora convertere. I sopravvissuti si volsero a comportamenti più prudenti.
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