Il litigio è una sonda emozionale che ci aiuta a non lasciare che la risonanza negativa dell’altro dentro di noi si depositi e riaffiori di continuo in forme diverse, in rancore e vendetta.
È importante, però, litigare non per evidenziare i problemi, le difficoltà del rapporto, ma solo il proprio vissuto di rabbia e di sofferenza. Così il confronto animato si trasforma in capriccio infantile e banale affermazione del nostro punto di vista e diventa un pestare i piedi, un voler vincere ad ogni costo.
Sono proprio queste guerre individualiste – che oltre a non catturare davvero l’attenzione dell’altro verso di noi ignorano il suo punto di vista, i suoi bisogni – a portare alla frattura dei rapporti: esprimono una aggressività ‘malata’, senza scambio e comunicazione, perché non permettono poi all’altro di reagire al problema e di arrivare alla pace formulando le scuse nel segno del perdono.
Susanna Tamaro ha affermato che “l’aggressività è uno dei grandi tabù della civiltà contemporanea. Nessuno vuole ammettere di covare dentro di sé una parte violenta. E invece tutti siamo aggressivi. C’è in noi una zona nera che è molto pericolosa. È come una pentola che bolle e bolle, e se non c’è sfogo, a un certo punto può saltare il coperchio ed esplodere”.
Ha poi aggiunto: “La parola ‘cuore’ nel nostro linguaggio è considerata una parola frusta, vilipesa, da canzonette, da baci Perugina, sdolcinata, melensa. Sapevo di fare cosa estremamente grave quando ho scelto questo termine per il mio libro Va’ dove ti porta il cuore. Una provocazione, insomma. Ho acceso un fiammifero e l’ho buttato nel pagliaio… e il pagliaio ha preso subito fuoco. Il sesso non scandalizza più nessuno, ma i sentimenti sì. I sentimenti fanno paura!”.
Infatti – rilevano gli esperti – nella nostra società registriamo un pauroso impoverimento storico, che ci ha portati ad un livello di analfabetismo affettivo senza precedenti.
Un credente, sensibile di cuore, per risolvere i litigi ricorre anche all’apporto della preghiera. Infatti se preghiamo dicendo “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, chiediamo al Padre di aiutarci a perdonarci, non per dimenticanza, debolezza o indifferenza, non perché quello che è grave è senza importanza, o perché è bene quello che è male, ma col coraggio estremo e la libertà di accogliere l’altro così com’è, nonostante il male che ci ha fatto, come Lui accoglie ciascuno di noi, nonostante i nostri difetti.
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