Lascia esterrefatti il fatto che ancora oggi si debba sentir parlare di razza, con in più l’aggettivo “bianca”, e stiamo parlando di persone! Dunque noi abitanti della Lombardia saremmo di razza bianca e necessiteremmo di protezione, essendo a rischio estinzione.
Fa doppia impressione che il binomio “razza bianca” sia stato pronunciato dall’ex sindaco di Varese Fontana (poi dichiaratosi preda di un lapsus), un politico che si dichiara pronto ad assumere la guida di una regione, la nostra, alle prossime elezioni.
A scuola io avevo insegnato che il termine si poteva utilizzare per distinguere le caratteristiche degli animali: una mucca bianca di razza val padana, un cane di razza maltese, un gatto di razza siberiana. A dire il vero negli anni successivi ho dovuto correggere le mie convinzioni e imparare che il concetto di “razza” non esiste, scientificamente parlando, nemmeno per i cani e i gatti.
In questo sono stata aiutata dalle illuminanti conferenze degli antropologi Cavalli Sforza, padre e figlio, scienziati di chiara fama, chiamati in più di una circostanza a Varese a sviluppare questi temi.
Dividere gli uomini in ”gruppi” sulla base di differenze come il colore della pelle o di altri elementi fisici è infondato scientificamente e scorretto culturalmente. Anche se, nei secoli passati ogni raggruppamento di individui con caratteri somatici esteriori comuni è sempre stato definito “razza”.
Siamo eredi, anche se involontari, del fascismo che ci ha regalato un passato innegabilmente ingombrante: nel 1938 furono emanate leggi a difesa della razza che svilupparono il loro nefasto effetto fino al 1945. Tra gli strumenti di propaganda politica c’era la rivista “La difesa della razza”, pensata per indottrinare la popolazione italiana in chiave antisemita. Sempre nel 1938 veniva sottoscritto il Manifesto degli scienziati razzisti, predisposto dagli intellettuali allineati al regime per orientare le masse al concetto di pura razza ariana.
Le ragioni venivano enunciate nel Manifesto: “Le razze umane esistono. L’esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi”.
Oggi, almeno nella nostra lingua, il termine “razza” è sempre più spesso sostituito con quello, nemmeno tanto appropriato, di “etnia”.
Non vorrei che le giovani generazioni imparassero che nelle nostre classi serenamente interculturali, nelle tante scuole dove insegnanti attenti e impegnati si prodigano per accogliere, integrare, includere, bambini e ragazzi con provenienze diverse (meglio definirli “di diversa nazionalità”), si lasciasse circolare un termine così obsoleto, e anche brutale, quando è riferito all’essere umano, come “razza”.
Non dimentichi il politico di casa nostra, perché sono certa che la conosce già, la lezione di vita che fornì ai posteri Einstein quando, in fuga dalla Germania nazista, al momento dell’ingresso da immigrato negli Usa, mentre si accingeva a compilare il modulo per ottenere il permesso di soggiorno, alla richiesta di definire la razza di appartenenza, scrisse semplicemente “umana”.
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