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Attualità

ELEMOSINA E DEMOCRAZIA

FELICE MAGNANI - 12/01/2018

elemosinaÈ mattina presto. Il cielo è nero, grigio, gonfio, sembra che voglia scoppiare da un momento all’altro. Esco di casa per andare a comprare la focaccia. Di gente in giro ce n’è pochissima. Anche i bar, che di solito hanno i tavolini pieni, soffrono di solitudine. Il barista sembra che ti osservi, in realtà ha lo sguardo da un’altra parte. L’aria non regala nulla di buono neppure al mare, eppure un tempo gl’inverni erano talmente miti che potevi uscire per strada indossando un semplice maglione.

Pensieri e riflessioni volano come farfalle e ogni tanto si posano per vedere e capire se sei tu che sei cambiato o se è il mondo che non è più quello. Molte cose sono cambiate, altre sono rimaste intatte. È cambiata soprattutto la gente. Non cammina, corre. È sempre più difficile incrociare uno sguardo. Ognuno è un mondo a sé.

La maggior parte parla al telefonino, vive la sua condizione. È finita l’epoca degl’incontri cordiali, delle piccole o grandi storie personali, dei vecchi che tornano dalla pesca, della panca fuori dal negozio. La gente vive la propria condizione come se fosse l’unica.

Quel mondo che ti ruota attorno non è più solo colorato di bianco, incontri molti neri sulla tua strada. Sono piazzati in luoghi strategici, sparsi un po’ dappertutto, molti stanno all’ingresso dei negozi, altri nel bel mezzo di una via e tutti chiedono l’elemosina. Si tratta di africani giovani, robusti, bei ragazzi, che potrebbero spaccare il mondo, eppure sono lì immobili, con la mano tesa o con in mano un basco o un bicchiere di plastica o un cappello.

Ti salutano sempre, anche più di una volta. Ti sorridono, pronunciano parole che sembrano arrivare da un cuore abbandonato e tu li guardi, provi un’emozione, vorresti fare, agire, ma rimani immobile e non capisci. Non capisci come mai possano essere lì ai margini, a inseguire l’attenzione di un passante per carpire cinquanta centesimi o forse un euro. Ti domandi perché non lavorino, perché siano in quella condizione, ma non sai trovare risposte. Sono lì, tutte le mattine, tutti i santi giorni: il solito sguardo compassionevole, le solite belle parole imparate a memoria, il solito grazie e il solito prego, il solito sorriso.

Sono lì così da mesi, forse da sempre, chissà. E tu cerchi invano una risposta a perché che dovrebbero apparire scontati, eppure in quella povertà non c’è proprio nulla di scontato, forse c’è anche qualcosa di noi.

La città è divisa: da una parte chi lavora, chi cerca il relax vacanziero e dall’altra chi tende la mano. Da una parte le luci dei negozi, dall’altra il buio profondo di esistenze che non si realizzano, che non trovano risposte e che continuano nell’unica direzione sbagliata: l’accattonaggio.

Vedere un giovane bello, forte e robusto che arriva da lontano con un mare di speranze e ritrovartelo lì, con la mano tesa, tutte le mattine, ti fa stare male. Senti che la vita è ingiusta, che la politica è ingiusta, che le belle parole sono solo suoni gettati al vento. Senti che mancano la coerenza, la giustizia, la legalità, la solidarietà, quella fermezza dinamica e operativa che dovrebbe caratterizzare una democrazia vera, convinta della propria missione educativa.

Ti rendi conto che il mondo non può andare avanti così, che non ci possono essere uomini che vivono nella schiavitù, abbandonati a un destino che di umano non ha nulla. Ti rendi conto che una democrazia deve amare davvero la gente, quella che la coltiva ogni giorno con amore perché ci crede, perché l’ha vista nascere, crescere, diventare adulta pur tra mille problemi, incoerenze, distrazioni e, soprattutto, una democrazia vera non può lasciare allo sbando giovani senza dare loro le risposte che meritano.

Eppure ogni angolo del mondo ha il suo governo, la sua amministrazione, i suoi leader, i suoi ministri, c’è sempre qualcuno che è stato eletto e che ha il dovere di fare il proprio dovere.

È questo il mondo in cui vogliamo che i nostri figli vivano? Sono convinto che ogni buon italiano ami i suoi simili, si prodighi per migliorare le proprie condizioni di vita e quelle degli altri. L’italiano vero è uno che crede, che ha fede, che non vuole l’elemosina e la povertà, desidera che nel suo paese ognuno trovi lo spirito giusto per collaborare, per dare una mano, per dimostrare che esistono diversi modi giusti per essere uomini e donne, modi più veri, più umani, più legali.

E allora bisogna che i diritti diventino doveri, che le responsabilità diventino reali, che la democrazia cambi, diventi più attenta a ciò che le sta succedendo, che non perda per strada i suoi pezzi e soprattutto bisogna che chi ha il compito di governare lo faccia sul serio, anche a costo di pagare un prezzo.

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