Il New York Times del 3 Gennaio ci spiega come le tremende e terroristiche favole di Trump e del suo contraltare asiatico valgano solo per i sempliciotti o per chi crede ancora alla Befana.
Dopo che il presidente americano e Kim Jong-un hanno contestato la scorsa settimana le reciproche minacce in termini di dimensioni, posizione e potenza dei loro “pulsanti nucleari“, un brivido è corso per il pianeta.
L’immagine di un leader con un dito su un pulsante – un grilletto capace di lanciare un attacco che stermina il mondo fa in effetti paura e dà credito alla follia: può così trafiggere l’immaginazione popolare in un pianeta dove la notizia si accredita oltre la realtà, anche quando è solo spacciata per vera.
C’è solo un problema: non c’è un pulsante.
L’immagine è stata frequentemente usata negli States per attaccare i candidati” durante le elezioni presidenziali. Il presidente Lyndon B. Johnson disse a Barry M. Goldwater, il suo avversario repubblicano nel 1964, che un leader doveva “fare tutto ciò che è onorevole per evitare di premere quel grilletto, schiacciando quel pulsante che farà esplodere il mondo”.
Richard M. Nixon ha detto ai consiglieri durante la guerra del Vietnam che voleva che i nord vietnamiti credessero che lui fosse un “folle” imprevedibile che non poteva essere trattenuto “quando è arrabbiato, e ha la mano sul pulsante nucleare”.
Ma come si può lanciare un attacco atomico da un contatto a portata di mano quanto la levetta di una macchinetta del caffè che gorgoglia in ufficio? Ciascun paese con potenza nucleare ha un proprio sistema assai complesso per arrivare ad una decisione così irreversibile, anche se la maggior parte delle procedure fanno riferimento al capo del governo non per una mania di sottomissione, ma per avere la conferma che solo un’identità cosciente e responsabilizzata al più alto livello possa autorizzare un attacco.
Infatti, una valigetta con un apposito autenticatore di codice accompagna il presidente (non solo americano) ovunque vada ed è trasportata in ogni momento da uno degli assistenti militari che rappresentano i rami delle forze armate di quel Paese e che, quindi, automaticamente allargano il raggio di consultazione e informazione su qualsiasi processo devastante in esame.
Il codice che va identificato, spesso descritto come una carta elettronica, è soprannominato “il biscotto”. È noto come Bill Clinton abbia perso il biscotto, ritrovato solo dopo alcuni mesi. Proprio per il timore di errori o financo di squilibri mentali, sono molte le richieste politiche di non lasciare al solo presidente il livello decisivo di approvazione di un intervento atomico.
È pur vero che gran parte del programma nucleare della Corea del Nord è avvolto nel mistero, ma è del tutto improbabile che il suo folle presidente abbia un pulsante nucleare sulla scrivania, “nel suo ufficio”, e che un attacco possa essere scatenato in pochi istanti. Si ritiene che i missili coreani a raggio più lungo siano alimentati da carburante liquido per razzi. Ciò significa che i missili non possono essere immagazzinati e pronti al fuoco in un momento preciso. Devono essere caricati con carburante prima del lancio, un processo che può richiedere ore e perfino giorni.
Tutto questo di certo non ci porta a sminuire la portata e il rischio tremendo di quanto è in corso. Ci induce invece a giudicare con ancora più durezza lo stare inermi nelle mani sciagurate di chi ritiene di avere il dito più o meno grosso non per salvare il pianeta, ma per condurlo in un Armageddon che nessuno potrà descrivere, essendo tutte le nostre vite evaporate con esso.
Dopo il tweet di Mr. Trump che afferma di avere un pulsante “molto più grande e più potente” di quello di Mr. Kim, bisogna far sentire la ragione di miliardi di coscienze e la tensione alla pace di un mondo rischiarato dai diritti. L’iniziativa dell’ONU per la messa al bando delle armi nucleari è un buon segno di inizio dell’anno nuovo.
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