In un post intitolato “So di entrare in un terreno minato”, pubblicato il 24 novembre scorso sulla sua bacheca di facebook, Giuseppe Adamoli si chiedeva dove fossero finiti i cristiani impegnati in politica e chiedeva di fare un’analisi più ampia sulla loro diminuita o irrilevante presenza nella politica italiana. Vorrei contribuire all’appello dell’amico Adamoli facendo una serie di riflessioni che non pretendono di essere esaustive, ma che potrebbero rappresentare un piccolo passo per un dialogo fra cristiani e uomini dotati di onestà intellettuale con il mondo politico d’oggi.
La stagione in cui i cattolici italiani erano intruppati in un unico partito è terminata e non può più ritornare, anche se alcuni nostalgici si richiamano a quel – per certi versi fecondo – periodo tentando di far risorgere, sotto varie sigle, quel movimento politico. L’unità politica dei cattolici o il collateralismo non può ritornare perché è cambiata la storia: quell’epoca seguiva alla mostruosità schiacciante dei miti dittatoriali, a cui era seguita aria di libertà. Mentre fioriva la speranza, si disegnavano nuovi itinerari, i partiti erano inseriti in un ordine, in una dinamica. Erano gli anni in cui le associazioni cattoliche, sotto la guida di autorevoli pastori, educavano donne e uomini ad acquisire una portata sociale, in un momento nel quale occorreva maturare un’umanità che non doveva estraniarsi ed evadere dal mondo.
Quella stagione non può ritornare anche perché il Concilio Vaticano II ha proclamato la responsabilità propria dei laici in campo politico, la libertà di coscienza, il primato della Parola di Dio da cui possono discendere opzioni partitiche diverse purché esse rispettino non solo i principi morali, ma anche quelli sociali che derivano dal Vangelo. La “diversità politica” non va confusa con la “diversità morale”, anche se quest’ultima deve essere letta alla luce dei segni dei tempi. I principi inderogabili sono quelli che proclama il Vangelo e non le ideologie! Le barricate e le dighe che giustamente si sono alzate per difendere il matrimonio tra un uomo e una donna e la vita fin dal suo concepimento fino agli ultimi suoi istanti dovrebbero essere innalzate anche per combattere certe posizioni economiche ultraliberaliste e le minacce che possono intaccare la dignità dell’uomo con i suoi corollari di libertà, di giustizia, di pace. Senza alcuna retorica e senza paura, ma con chiarezza, coloro che si dichiarano cristiani devono essere coerenti con la fede proclamata in qualunque partito essi militino o per il quale essi votino.
I giovani d’oggi, abituati a vivere in una società in cui si confrontano diverse culture politiche, sorridono quando si propone loro l’unità politica dei cristiani perché sanno che la politica si deve fare con scelte politiche e non religiose, anche se la fede deve ispirare la loro preferenza, tanto più in questo tempo in cui il “partito ideologico”, fonte di Verità, è stato sostituito dal “partito non ideologico”, fonte di proposte spesso contradditorie tra di loro, fortemente “liquido”, confusionista e conformista.
Discioltasi la D.C. sotto la crisi che coinvolse tutti i partiti in seguito a tangentopoli, dalle sue ceneri nacque il P.P.I. con un esplicito riferimento ai valori indicati da Luigi Sturzo. Complice il sistema maggioritario misto, la diaspora del voto cattolico si fece ancora più evidente: i cattolici liberali preferirono dare il loro appoggio alla destra, mentre i cattolici democratici aderirono a “La Margherita”, che successivamente confluì nel P.D. Nacquero i partiti “personalizzati”, con a capo piccoli politici consunti. E la diaspora diventò assenza. I cattolici si trovarono accampati sotto le diverse tende delle diverse formazioni politiche e diventarono irrilevanti.
Non mancarono – in verità – continui richiami dei vescovi ai cristiani impegnati nei vari ambiti della società per ritrovare i fondamenti spirituali ed etici al fine di rinnovare un’efficace testimonianza pubblica. Si propose un “progetto culturale”, si organizzarono i convegni ecclesiali, a Todi per due anni consecutivi si riunirono i rappresentanti delle associazioni e dei movimenti per trovare un corpo valoriale organico che potesse attenuare un insieme di idee slegate, chiuse e spesso autoreferenziali. Non se ne fece nulla. A disertare non fu la truppa impegnata nel volontariato, nei sindacati, nelle attività sociali, ma lo stato maggiore che intese il servizio in politica come mezzo per raggiungere il potere e, talvolta, lo dobbiamo riconoscere seppur a malincuore, per scambio di favori non sempre leciti.
Ed oggi? Ci sembra che i cristiani impegnati in politica debbano affrontare cinque sfide.
La prima sfida è il populismo, un malessere profondo percepito da molte persone in tutto il mondo. Il populismo, che si presenta sotto le sembianze di promesse che non possono essere mantenute al fine della ricerca del consenso elettorale, non si combatte con più fazioni politiche, ma con una buona politica. Come non basterà istruire i cattolici sui principi della dottrina sociale della chiesa, dove prevalgono gli aspetti teorici-dottrinali astratti, a scapito di proposte concrete e comprensibili, così occorrerà educare per creare convinzioni e soprattutto proporre ai giovani, che frequentano i nostri oratori, la bellezza del rendersi utili agli altri attraverso l’impegno nel volontariato, nell’assistenza ai deboli, nella cura del territorio. Il populismo si vince se ognuno tenderà a portare un pezzo di se stesso per la costruzione del bene comune nel rispetto delle istituzioni, indipendentemente dalle persone che le governano.
La seconda sfida da affrontare è il disinteresse. Se per tutti l’assenteismo dalla partecipazione alla vita democratica è una mancanza di dovere civico, per il credente è un peccato di omissione.
La terza sfida da affrontare è la corruzione “pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani” (Papa Francesco, 19 maggio 2014).
La quarta sfida da affrontare è la madornale disuguaglianza tra chi ha troppo e chi non ha niente. La giustizia sociale e le opere di misericordia vengono prima di tutti i privilegi e delle tattiche partitiche. Il Vangelo ci insegna a non sostenere clientele né a salvaguardare i profitti investiti non per creare nuovi posti di lavoro, ma per produrre altri soldi.
La quinta sfida da affrontare è la globalizzazione con tutti i problemi ad essa connessi, in modo particolare il governo dei flussi migratori. Il globalismo, con il derivante capitalismo che impera tramite le multinazionali si può accettare, ma non subire. Si deve far pagare a queste società il giusto. Con fermezza. Senza eccezioni. L’Europa ci può aiutare in questa sfida.
Siamo invitati tutti a batterci contro queste provocazioni. In questo inizio di anno civile è bene meditare sul senso della storia, cioè acquistare una maggiore consapevolezza del momento che viviamo al fine di porre ordine al disordine politico, sociale, economico, culturale: nulla è più intollerabile, agli occhi di chi soffre fame e ingiustizie, di una languida pace che ci siamo scambiati tra noi, sazi, in questi primi giorni dell’anno.
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