Sono in chiesa, seduto su una panca, nella navata semibuia: a far cosa? A pregare umilmente Qualcuno che mi accolga nella sua misericordia o invece sono qui perché quand’ero piccolo mi avevano detto (per la verità più imposto che detto) che se non andavo a messa alla domenica era peccato, peccato mortale? Per cui son venuto in chiesa per non peccare? Solo per questo? Timoroso di un Dio contabile, che conta i peccati?
Son qui ricco di timori ed angosce per cui invoco misericordia …. ma Quello che mi dovrebbe accogliere c’è, esiste, può veramente donarmi la sua pace? O sono più sereni, più felici coloro che dicono che Quello non c’è, per cui loro vivono il concreto della realtà e lasciano perdere il trascendente, che son tutte fandonie? Loro dicono di vivere in pace, senza rimorsi, senza senso di colpe. E gli altri seduti accanto a me? Sembrano tutti sereni, privi di dubbi, considerando il loro atteggiamento di profondo raccoglimento.
Mi vien da chiedermi: vive meglio il credente o l’ateo? Muore meglio il credente o l’ateo?
Io son qui davanti a questo altare realizzato qualche decennio fa da un noto scultore. Celebra un sacerdote che s’aiuta nell’incedere con un bastone, anche se riesce a camminare veloce. Le luci ora son tutte accese. Il celebrante è vestito con paramenti che richiamano i secoli passati della controriforma, che allora necessitavano di sontuosità anche per confermare il potere temporale oltre che il valore spirituale. Oggi la spiritualità è evidenziata dalla preghiera che il sacerdote mormora mentre li indossa. Ma tutti pregano, quando compiono questi gesti? Ricordo chiacchierate di certi altri. Poco importa. Lui dal suo atteggiamento, più che dalle parole che la liturgia gli mette sulle labbra, mostra d’avere grande fede. Crede nella misericordia di Dio. Io invece mi avvolgo e mi ripiego nel mio dubitare, nella mia incapacità a pregare, nella ricerca di una sicurezza che non trovo, che non so trovare.
Sento il bisogno di ricevere parole di vita, di cui ho tanta sete, ma lui, che pure ha tanta fede, non dice molto. Dà forse per scontato che, solo per il fatto d’essere qui, tutti si creda profondamente.
Non so pregare. Come capisco i seguaci di Gesù che chiedevano d’essere aiutati a pregare, che chiedevano come pregare. È capisco anche la loro difficoltà a comprendere i discorsi del Cristo. Loro nella loro concretezza speravano in un regno ancorato alla realtà di quei giorni, che spazzasse via gli odiati Romani. Non capivano i discorsi di chi scacciava i mercanti dal tempio.
Anch’io sono ancorato alla amara realtà dei nostri giorni, realtà che non mi dà quello di cui sento il bisogno, Realtà che trovo piena di dolori.
Vien da dubitare che i brandelli dei messaggi datici dal Cristo, raccolti negli scarni Vangeli giunti a noi, siano troppo pochi, troppo scarsi perchè noi si sia capaci di credere all’annuncio da Lui predicato. Eppure un mio amico, che mi amava tanto perchè lui aveva tanta fede, mi faceva notare che per fortuna Gesù si limitò a parlare e non scrisse nulla. Se avesse scritto, se avesse vergato con la sua mano pergamene, con facilità saremmo caduti inevitabilmente nell’intransigenza, come capita nelle altre religioni dove il fondatore ha scritto.
Ma allora il suo annuncio come giunge a noi? Lui aveva la certezza che quelli che lo amavano avrebbero annunciato, testimoniato il suo messaggio d’amore contenuto negli scarni Evangeli, scritti da quelli che sono entrati in contatto con i suoi discepoli.. Ed io perché vado in difficoltà da scarso credente? Non capisco il suo messaggio? Non è che la fede sia solo un problema d’amore, un progetto d’ amore, un mistero d’amore? Annunciato e trasmesso da chi? Da quelli che lo avevano amato, che continuavano ad amarlo e da quelli che l’hanno saputo amare attraverso i secoli ed attraverso i secoli sono stati testimoni del suo amore. Anche ai nostri giorni ci sono questi testimoni.
Allora per avere fede bisogna saper amare? Sì, ma qui è il difficile. La storia ci dice che una delle cose irrealizzabili dell’umanità è proprio questa, saper amare. Quante stragi, quanti martiri, quante torture ci sono state nei secoli!
E io perché con frequenza ripeto questi pensieri? Anch’io non capisco che più che di ragione c’è necessità d’amore, di carità? Che il pensiero trascendente si conclude in un semplice pragmatico discorso di concreta carità? Molto più di un pagano natale che, guarda caso, coincide con l’antica festa romana del solstizio d’inverno. Ma questo dubitare è giusto perché il dubbio è il motore umano che innesca la ricerca, lo studio, la meditazione e anche la speculazione scientifica, attività tutte che inaridiscono nelle mani di coloro che hanno le certezze assolute.
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