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Editoriale

PASSERO

MASSIMO LODI - 15/12/2017

renzibersleopardiSiamo certi che Renzi verrà corbellato dal forfait di Alfano e Pisapia? Che il cimento elettorale del Pd si complica alla maledetta? Che, un ceffone dopo l’altro, la solitudine del leader diventerà morbo incurabile?

Qualche dubbio sembra lecito sollevarlo. Visto da un corner d’osservazione diverso da quello della fanfara mediatica in perenne/accigliato corteo, il quadro si può dipingere al modo seguente. 1) A Renzi giova aver messo fine a una tiritera -si alleano, non si alleano- che aveva stufato tutti, al punto da fargli perdere nei sondaggi oltre un punto in un mese e mezzo. 2) Le esitazioni di Pisapia, abbraccio tizio-non abbraccio caio-abbraccio sempronio, erano sdrucciolate nel ridicolo, rappresentando l’idea d’una fragilità/inconsistenza del medesimo, che non si capiva quali voti sarebbe stato in grado di portare ai democrats. 3) La débacle di Alfano alle regionali siciliane ne aveva squagliato il residuo di credibilità. Essendo egli da tempo bersaglio di critiche da destra e da sinistra, rischiava di diventare una zavorra pesante anziché un utile ormeggio. 4) il fronte Berlusconi-Salvini-Meloni insisteva a martellare un giorno sì e l’altro pure sulle contraddizioni affioranti dalle trattative dello “statista di Rignano”, e il fronte di Bersani-D’Alema-Speranza idem nel rivendicare i valori d’una sinistra non più in empatia col segretario del Pd.

Ora si può (ben) dire che Renzi ha sì smarrito la teorica possibilità di contare su un’aggregazione meno ridotta di quella che si ritrova (Pd, qualche centrista, un po’ di radicali/socialisti/verdi); ma ha conquistato la pratica chance di correre con una squadra a misura di sé stesso e di quanti credono in lui. Il PdR, insomma: il Partito di Renzi. O il PdN, il Partito della Nazione. Cioè un’entità trasversale rispetto allo storico schema destra-sinistra. Valori riformisti di fondo, nessuna servitù ideologica, movimentismo nella raccolta del consenso. Il modello potrebbe essere Macron, che peraltro due anni fa dichiarò che il suo modello era Renzi.

Naturalmente è da dimostrare che la novità ripeschi il Pd (o come vogliamo chiamarlo/rinominarlo) dal pantano dove annaspa. Però almeno una fila di equivoci si sono dissolti, la linea dell’orizzonte corre netta, l’occasione di rinnovare non bozzerà contro un tenace conservatorismo di potere, di casta, di ditta. Nessuno dei potenziali elettori di Renzi pensa, alla maniera di Bernardo di Chartres, che gl’italiani siano un popolo di nani chiamato a issarsi sulle spalle d’un gigante. Neppure il contrario, tuttavia: e cioè che li chiama a sceglierlo un nano schiacciato da rivendicazioni, astuzie, protervie d’un gruppo di giganti della politica. Giusto quei compagni di viaggio dai quali Renzi s’è separato -in un crescendo lirico/livido- dall’epoca del referendum costituzionale del dicembre 2016 fino a oggi.

L’aver perduto simile compagnia non allerta nostalgie. Diceva il poeta di Recanati, adesso così tornato di moda: ahi pentirommi e spesso, ma sconsolato volgirommi. Può dire Renzi: certo ho sbagliato, ma se guardo all’indietro mi vengono i brividi. Per il tempo, non per i sodali dell’avventura, che ho perduto. E allora meglio alzare la testa e puntare in avanti, succeda quel che deve succedere. Comunque vada, sarà un progresso: dal giaguaro smacchiato di Bersani al Passero solitario del Leopardi, il volo poetico (la mutazione faunistica) merita uno sguardo non distratto.

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